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IL 300 DELLE MERAVIGLIE E DELLA CRISI

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view post Posted on 22/4/2013, 18:47

papero

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Nell’anno delle celebrazioni dei 700 della nascita di Giovanni Boccaccio, Rete Due propone oltre a una serie di incontri pubblici sulla figura del grande scrittore, diversi approfondimenti (Laser, Geronimo, Blu come un’arancia) sul Trecento, un secolo dominato dalla straordinaria creatività sia in campo letterario sia in quello delle pittura, ma anche dall’inizio di una crisi e dalla diffusione di numerose epidemie, tra cui la terribile peste nera del 1348. In questo viaggio in un secolo ricco di meraviglie, sorprese e tragedie potremo visitare con il medievista Franco Cardini la città di Siena in una sua versione trecentesca , ascoltare dalla bocca del più grande tra i medievisti, Jacques Le Goff una serie di ritratti di protagonisti reali o immaginari di quegli anni, indagare sul 300 in Ticino e in Svizzera o su quello, un po’ dimenticato, fuori dal continente europeo. Parleremo di teatro, di malattie, di Simone Martini e della scuola senese, ma anche dei meno noti anti modelli letterari. Tra le proposte di Rete Due anche una di matrice culinaria: un approfondimento su com’erano cibo e bevande in quel secolo. Un modo per ricordarci in fondo che quell’autunno del Medioevo fu un periodo straordinariamente ricco e intrigante. Il progetto “Trecento” è realizzato da Roberto Antonini, Franco Brevini, Clara Caverzasio, Sabrina Faller, Orazio Martinetti , Brigitte Schwarz e Massimo Zenari.


Donne e uomini nel Medioevo secondo Jacques Le Goff
Una scelta soggettiva ma estremamente autorevole, forse la più autorevole, visto il nome di chi l’ha fatta. Jacques Le Goff, instancabile malgrado il peso degli anni, ha da poco pubblicato un libro in cui, sotto la sua direzione, diversi specialisti del Medioevo propongono ritratti contestualizzati di personaggi reali o immaginari di quel periodo storico che va dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente alla scoperta dell’America. Nell’incontro con Roberto Antonini, il grande medievista francese racconta alcuni di questi protagonista di quell’affascinante periodo storico. Da Guido d’Arezzo monaco benedettino che definì le notazioni musicali in uso ancor oggi, a Luigi IX e sua madre Bianca di Castiglia, a Abelardo e Eloisa, alla Madonna che Le Goff considera, per l’influsso che ebbe la sua celebrazione, uno dei maggiori protagonisti del Medioevo fino ai personaggi della fantasia, come la fata Melusina o la Papessa Giovanna. Lo storico abituato a tracciare con rigore filologico i contorni di situazioni e personaggi ammette, alla fine dell’intervista, anche la predilezione per uno dei protagonisti del XIII secolo di cui, per lasciar la sorpresa agli ascoltatori, non riveliamo il nome!

Il secolo delle catastrofi?
Tra i primi decenni del Trecento e la metà del Quattrocento la società europea visse una fase di crisi e di stagnazione economica senza precedenti. Infatti si erano intensificate le guerre come la guerra dei cento anni tra Francia e Inghilterra. Le pesti, la Peste Nera del 1348 e le numerose epidemie, avevano provocato gravissimi vuoti nella popolazione alterando in profondità il tessuto socioeconomico: bisognerà giungere alla metà del 1500 perché l’Europa torni ad avere i circa 50 milioni di abitanti che aveva alla metà del Trecento. Le campagne si erano spopolate ed era cresciuto il numero di villaggi e insediamenti abbandonati. Il calo impressionante della popolazione contadina si era accompagnato alla riduzione degli spazi coltivati dovuta anche alla cosiddetta piccola glaciazione. Concorsero alla destabilizzazione anche le difficoltà della Chiesa durante la cosiddetta cattività avignonese e lo scisma d’Occidente che lacerarono la Cristianità occidentale. Ci racconta un secolo che è stato definito “l’età delle catastrofi" il medievista Giorgio Chittolini, professore emerito di Storia medievale all’Università degli Studi di Milano, autore di numerosi libri tra i quali si ricordano almeno La formazione dello stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV-XV e l’Annale della Storia d’Italia con Giovanni Miccoli La Chiesa e il potere politico entrambi editi da Einaudi. È membro di comitati scientifici di numerose riviste tra cui l’ “Archivio storico ticinese”.

A spasso nel Trecento
La proposta è piaciuta subito a Franco Cardini, uno dei maggiori medievisti italiani: trascorrere un giorno a Siena, passeggiare nelle sua vie, attraversare le sue piazze, visitare alcuni suoi monumenti. Ma raccontarla sempre riferendosi alla realtà del basso Medioevo, quell’autunno del Medioevo che segnò una crisi economica, ma pure la fioritura di grande opere artistiche. Quelle che portavano la firma di Simone Martini, Duccio di Buoninsegna o Ambrogio Lorenzetti. Al microfono di Roberto Antonini, Cardini ci racconta cos’erano le contrade, come si presentava la magnifica Piazza del Campo, cosa ci dice di quell’epoca l’affresco «Gli effetti del buono e del cattivo Governo», l’opera di Lorenzetti che si può ammirare al Palazzo Pubblico. Potremo così capire cos’era un cantiere di una grande Chiesa (il Duomo), immaginarci le contrade, gli artigiani, il cibo, le taverne. E cosa significò quell’avvenimento drammatico e straordinariamente importante quale fu l’epidemia di peste nera del 1348. Scopriremo anche che tanto di quanto immaginiamo sia medievale nella stupenda città toscana, in realtà sia in buona parte il risultato di trasformazioni ottocentesche. Insomma una passeggiata densa di informazioni, di scoperte sulla realtà medievale e sul nostro sguardo del tutto particolare su un’epoca affascinante.

Il cuoco, il nobile, il contadino. A tavola nel Medioevo
Potrebbe essere considerata un’arte effimera, che svanisce nel momento in cui la si consuma. Eppure la cucina, o l’arte culinaria, nella sua manifestazione più nobile, è un ingrediente primario in quel complesso reticolo che dà forma alla cultura del Medioevo. Se bere e mangiare sono vitali, la cucina è il luogo dell’identità e dello scambio. Un luogo che si regge su regole che la avvicinano al linguaggio. Come questo, infatti, la cucina possiede vocaboli, una grammatica, una sintassi e una retorica. Così, gli ingredienti si trasformano in vivande attraverso le ricette, le ricette si dispongono in un ordine dettato dai menù, e a tavola ci si comporta secondo precisi dettami conviviali. E l’analogia funziona anche sul piano simbolico, perché la cucina esprime la cultura e le tradizioni di chi la pratica, è depositaria dell’identità di gruppo, e funge da mediatrice fra culture diverse, aprendo alle invenzioni e alle contaminazioni. Per parlarne, Massimo Zenari ha incontrato Massimo Montanari, il maggiore studioso della materia, titolare della cattedra di Storia medievale all’Università di Bologna e autore di saggi come “Alimentazione e cultura nel Medioevo” (1988) e “Gusti del Medioevo: i prodotti, la cucina, la tavola” (2012), editi da Laterza, e Marie-Claire Gérard-Zai, professore titolare di Filologia romanza all’Università di Friburgo, che di recente ha curato, con Véronique Dasen, il volume “Art de manger, art de vivre: nourriture et société de l’Antiquité à nos jours”, Infolio Éditions (2012).

Nel Trecento il teatro è la città
Nel Trecento il teatro come lo intendiamo comunemente, con compagnie professionali di attori impegnate in un edificio adibito ad uso esclusivo delle rappresentazioni, non esisteva ancora. Ma esistevano forme di spettacolo legato alle festività religiose e civili che ruotavano intorno alla vita delle città e dei quartieri. Città come Firenze o Venezia offrivano un quadro particolarmente vivace della scena spettacolare. Il teatro si faceva nelle piazze, nelle strade, sui sagrati delle chiese, e impegnava ugualmente attori e pubblico in un continuo scambio. Erano spesso le compagnie dei giovani ad occuparsene con il sostegno cittadino, e in parte queste feste esistono ancora. Ne parliamo con il prof. Siro Ferrone dell'Università di Firenze, noto studioso di storia del teatro e dello spettacolo.

La persistenza della peste
La sua origine è antica. Per la sua forza distruttrice, è diventata nell'immaginario collettivo la ‘morte nera’, e ha accompagnato l’umanità nei secoli. Non a caso la peste è spesso presente nelle grandi opere letterarie e artistiche, dall'Iliade alla Bibbia, dalla Guerra del Peloponneso di Tucidide ai Promessi Sposi, fino a La peste di Albert Camus. La peste più catastrofica? Quella raccontata, descritta e documentata dal Boccaccio nel suo Decamerone, che nel giro di cinque anni causò la morte di un terzo della popolazione europea contagiando letteralmente tutti i paesi, dal Mediterraneo al Baltico. Di recente si è ricostruito l'intero genoma del batterio responsabile della ‘mortifera pestilenza’ trecentesca (il batterio Yersin, in onore del medico svizzero che lo individuò). E si è scoperto fra l'altro che in tutti questi secoli non solo il batterio non è scomparso ma è rimasto uguale a se stesso. Eppure, dal punto di vista epidemiologico l'interpretazione della malattia narrata dal Boccaccio non è ancora univoca. C'è chi sostiene, per esempio, che si sia trattato non di un batterio, o non solo di un batterio, ma di un virus simile a quello dell'AIDS prima maniera, oppure al virus Ebola...
Dei corsi e ricorsi delle pestilenze nei secoli, del loro significato biologico, clinico ma anche psicologico e sociale, e della lunga e in parte ancora controversa storia della peste, ci parla lo storico della medicina Giorgio Cosmacini, nel Laser in onda il 17 aprile a cura di Clara Caverzasio.

Oltre l'orizzonte. L'Europa e il mondo nel XIV secolo
Mentre si svolge la vicenda terrena di Giovanni Boccaccio (1313-1375), mentre il Trecento raggiunge il suo apogeo per poi precipitare nella crisi, cosa accade nel resto del mondo? Intendiamo naturalmente il mondo allora conosciuto, e dunque i popoli e gli Stati affacciati intorno al Mediterraneo. Anche se il tempo delle grandi esplorazioni geografiche è ormai alle porte, la regola resta quella di un relativo isolamento tra le diverse aree di civiltà, ma crescono i contatti e le relazioni con Paesi e popoli anche assai lontani.
Paolo Branca ci parlerà delle vicende del mondo islamico, disteso lungo una vasta fascia di territori tra Africa settentrionale e Asia e dunque a diretto contatto con l’Europa: un vicino di casa la cui frequentazione era quasi inevitabile, tra guerre, commerci e scambi culturali. Giampaolo Calchi Novati racconterà invece quel che accadeva nei leggendari regni dell’Africa subsahariana, dei quali le carte geografiche a stento riportavano i nomi, mentre con Michelguglielmo Torri ci spingeremo sino in India e in Cina, collegate all’Europa da un filo sottile ma tenace percorso da uomini e merci: la Via della seta.

La scienza e il Medioevo
Il medioevo è visto di solito come un’epoca buia e poco significativa della storia europea. Un pregiudizio duro a morire anche in ambito scientifico; eppure è proprio e fra Due e Trecento che comincia a manifestarsi un pensiero scientifico in senso proprio, e addirittura un pensiero scientifico critico. Che tipo di scienza è quella che appare in questo periodo? Quali i suoi protagonisti? Ci sono elementi del pensiero scientifico medievale che conservano intatta ancora oggi la loro validità? È quanto scopriremo nella puntata di sabato 13 aprile del Giardino di Albert, a cura di Clara Caverzasio, che ospiterà Chiara Crisciani, storica della filosofia medievale, e Giulio Giorello, filosofo della scienza.



Il fascino indiscreto del Medioevo
La storiografia è unanime: il Medioevo non fu un’epoca buia, oscura, incuneata tra due splendori, il mondo classico e il Rinascimento. Il pregiudizio, alimentato da molti umanisti, è ormai superato. Quell’epoca che va, canonicamente dalla caduta dell’Impero romano d’occidente nel V secolo alla scoperta dell’America alla fine del XV secolo, è in realtà un periodo storico estremamente ricco. A tal punto che uno dei maggiori medievisti viventi, Jacques Le Goff, considera che vi furono diversi rinascimenti, già nel Medioevo e che il Rinascimento per antonomasia, fu in realtà proprio un prodotto dell’”età di mezzo”. Da Giotto a Dante a Federico II a Tommaso d’Aquino o Avicenna, dalle cattedrali gotiche, all’architettura romanica, alle Università, ai Monasteri, al pensiero teologico e scientifico, il Medioevo è imbottito di grandi personaggi, di inventiva, di scoperte. Non è un caso che ancora oggi eserciti un grande fascino tra gli studiosi e tra il pubblico. Il Medioevo piace, attrae turisti, fa vendere libri e riviste. Moby Dick a conclusione di una dieci giorni di approfondimenti sul Trecento, propone una tavola rotonda con 3 medievisti: Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Simona Boscani Leoni e Alessandro Barbero.




Cecco Angiolieri, un maledetto tra Due e Trecento
Quando Francesco De Sanctis delineava con la sua Storia della letteratura italiana il canone destinato a durare fino a pochi decenni fa, sorvolava su un fatto piuttosto grave per uno storicista come lui: nella tradizione italiana i risultati più alti si registrano, non alla fine, ma all’inizio. Ecco perché il Trecento, con l’ineguagliabile magistero delle Tre Corone, Dante Petrarca e Boccaccio, non è stato un secol come gli altri, ma ha avuto un peso decisivo nella letteratura dei secoli successivi.
Eppure se i tre massimi esponenti rappresentavano la linea più illustre, non esaurivano certo tutto lo scenario della letteratura. In questa serie di Blu come un’arancia Franco Brevini ci guida in un percorso attraverso «l’altro Trecento», il secolo non canonico, quello che non avrebbe contato per i posteri, ma che ci restituisce un’immagine assai più viva della realtà. Si comincia con Cecco Angiolieri e con il suo controcanto comico al sublime della letteratura illustre. Liberatici dalle mitologie maledettistiche, possiamo oggi recuperare la sua opera anche per i valori estetici che ci propone.

Motti e facezie del piovano Arlotto
Il viaggio attraverso l’altro Trecento, quello delle tradizioni letterarie non egemeni e sconfitte, prosegue quest’oggi con Motti e facezie del piovano Arlotto. Si tratta di un’opera piuttosto inconsueta, che has goduto di una lunghissima e corposa fortuna di pubblico. È costituita da oltre duecento brani di varia natura, proverbi, frasi lapidarie, motti, racconti, esempi, al cui centro si staglia l’argutissimo pievano della chiesa di San Cresci a Maciuoli, nella diocesi di Fiesole, presso Firenze.
Siamo tra la fione del Trecento e i primi del Quattrocento, ma culturalmente siamo ancora lontani dal clima dell’umanesimo quattrocentesco. Il lettore popolare ama in queste pagine l’arguzia, che lo avrebbe portato a leggere con passione le storie di Bertoldo un paio di secoli dopo.
Siamo ancora con un piede nel Medioevo, ma i valori cui si ispira il piovano sono già moderni e borghesi. Egli è un eroe dell’intelligenza, un campione dell’abilità. Sotto i suoi strali cadono contadini avari e preti furbi: una dimostrazione di come il suo pubblico fosse costituito dal popolo cittadino che stava emancipandosi dalle vecchie autorità e che irrideva il mondo delle campagne.

La Cronica dell’Anonimo Romano
Un’opera di culto: la Cronica dell’Anonimo Romano. Pochi altri libri antichi hanno goduto di una loro breve, ma solida fama. Sponsorizzato da Gianfranco Contini, edito da Adelphi, questo piccolo gioiello della storiografia venne composto tra il 1357 e il 1360 da un autore di cui non conosciamo l’identità. Forse un mercante, forse un personaggio dotato di una cultura media, ma bene informato sulle questioni di cui ci parla. È una storia della città di Roma, anche se non soltanto di questa, negli anni centrali del Trecento, in coincidenza con la cattività avignonese del papato. Le discordie delle famiglie gentilizie e l’avventura del tribuno Cola di Rienzo sono al centro della narrazione. Ancora oggi sconvolgente la morte di Cola, ucciso dalla furia popolare. una pagina tra le più alte della storiografia italiana.
Il dialetto è molto diverso dal romanesco odierno, è un varietà meridionale, satura di umori popolari, un risultato del migliore espressionismo, che proprio Contini si sarebbe incaricato di promuovere nella tradizione italiana ed europea.

Il Lamento di Bernabò Visconti
Una cupa storia di tradimento, di potere, di violenza. È quella che sta dietro il Lamento di Bernabò Visconti, uno dei tre scritti a partire dalla tragica vicenda di Bernabò Visconti, signore di Milano dal 1349 al 1385. Nel maggio 1385 il nipote Gian Galeazzo lo imprigionò nel Castello di Trezzo, dove Bernabò trovò la morte.
Nelle 171 ottave l’ignoto autore immagina che Bernabò in catene dialoghi con la Filosofia. Giustamente è stato menzionato il De consolatione philosophiae di Boezio. I temi sono quelli che da sempre affascinano l’opinione pubblica: cosa sta dietro i tracolli di subite fortune come quella di Bernabò? Il signore è caduto per essersi allontanato dal cammino della virtù o è stato vittima della sorte?
Il Lamento è opera certamente minore, di stampo decisamente popolare. Lo confermano gli usi linguistici, i moduli lessicali e idiomatici di livello medio e una metrica scarsamente sorvegliata. Ma è anche un testo assai interessante dal punto di vista ideologico, in quanto mostra un esempio di damnatio memoriae, con cui l’usurpatore diffonde una versione tranquillizzante sulla deposizione del vecchio signore.

La frottola di Vannozzo e la tenzone di Niccolò de’ Rossi
Nel corso del Trecento, grazie al successo e alla qualità delle opere di Dante, Petrarca e Boccaccio, il toscano conosce una rapida fortuna nella penisola, imponendosi come il nuovo riferimento linguistico per chiunque scriva testi letterari.
Il Veneto è forse l’area in cui il toscano si afferma con maggiore capillarità. Eppure non mancano delle varianti, che contrastano le idee di armonia ed equilibrio diffuse dal centro egemone, operando mediante le risorse disponibili a livello locale. Due sono i campioni che Franco Brevini ci propone in questo viaggio nell’«altro Trecento»: la tenzone tridialettale che figura nel canzoniere di Nicolò de’ Rossi e la frottola veneziana Se Dio m’aide, a le vagnele, compar di Francesco di Vannozzo.
La tenzone è un testo sperimentale e giocoso e coinvolge tre dialetti, con una dinamica che si risolve a favore del gioco comico-realistico. Diverso il caso della frottola di Vannozzo, in cui viene sperimentato dall’autore un volgare come il veneziano, diverso sia dal toscano, sia dal padovano, che potevano essere più prevedibili. Il risultato è un testo già modernamente dialettale, che si situa all’origine di una tradizione destinata a durare fino a Goldoni e oltre.



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Edited by eos1948 - 23/8/2021, 08:20
 
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ziamari
view post Posted on 25/4/2013, 18:18




uno scrigno a cui attingere a piene mani! chi, se non il papero, avrebbe potuto regalarci questi bei contributi...
 
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view post Posted on 13/10/2013, 14:39
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view post Posted on 12/8/2021, 04:33
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12.08.2021 - link da sostituire
 
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view post Posted on 23/8/2021, 07:26
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23.08.2021 - LINK SOSTITUITO
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