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IL TEMPO E LA STORIA, da Rai Storia LINK DA SOSTITUIRE

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papero62
view post Posted on 20/5/2015, 22:29 by: papero62

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Emilio Gentile



(Bojano 1946) Storico di fama internazionale, è professore emerito dell’Università di Roma La Sapienza. È stato Visiting Professor in Australia, Stati Uniti, Francia, Svizzera. Nel 2003 ha ricevuto all’Università di Berna il Premio Hans Sigrist per i suoi studi sulle religioni della politica. Studioso del nazionalismo, del fascismo, del totalitarismo, della Grande Guerra e delle religioni della politica, ha pubblicato numerose opere molte delle quali tradotte nelle principali lingue. Collabora al Domenicale de «Il Sole24ore». Fra le sue opere più recenti: Fascismo e antifascismo. I partiti italiani fra le due guerre (Le Monnier, 2000), Le religioni della politica. Fra democrazia e totalitarismo (Laterza, 2001), Le origini dell’Italia contemporanea. L’età giolittiana (Laterza, 2003), The Struggle for Modernity: Nationalism, Futurism, and Fascism (Praeger, 2003), Renzo De Felice. Lo storico e il personaggio (Laterza, 2003), Fascismo. Storia e interpretazione (Laterza, 2003), La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore (Laterza, 2006), Fascismo di pietra (Laterza, 2007), Il fascino del persecutore. George L. Mosse e la catastrofe dell’uomo moderno (Carocci, 2007), La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista (Carocci, 2008), L’apocalisse della modernità. La Grande Guerra per l’uomo nuovo (Mondadori, 2008), La nostra sfida alle stelle. Futuristi in politica (Laterza 2009); Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi (Feltrinelli, 2010); Né Stato né Nazione. Italiani senza meta (Laterza, 2010); La Grande Italia. Il mito della nazione nel XX secolo (Laterza, 2011), Italiani senza padri. Intervista sul Risorgimento (a cura di S.Fiori, Laterza, 2011); E fu subito regime. Il fascismo e la marcia su Roma (Laterza, 2012). Due colpi di pistola, dieci milioni di morti, la fine di un mondo. Storia illustrata della Grande Guerra (Laterza, 2014); In Italia ai tempi di Mussolini. Viaggio in compagnia di osservatori stranieri (Mondadori 2014).


La nuova Roma del Duce
La puntata si occupa di una delle più grandi opere urbanistiche della storia italiana: la trasformazione di Roma sotto il fascismo.
Da città “fredda e nemica” a chiaro esempio di come la politica possa usare l’architettura per rappresentare il proprio potere.
Con l’aiuto del professor Emilio Gentile ripercorreremo le tappe fondamentali del rapporto tra il regime e la capitale: dalle prime “demolizioni” del 1925 fino all’apertura nel 1937 del cantiere per la costruzione dell’Eur, passando per l’inaugurazione del Foro Mussolini.


Mussolini interventista
I sei mesi cruciali nella vita del giovane Mussolini, quelli che lo portano da leader dell'ala rivoluzionaria del partito socialista e direttore del quotidiano L'Avanti a beniamino della causa interventista e fondatore di un nuovo quotidiano: Il Popolo d'Italia.
A pochi giorni dallo scoppio della prima Guerra mondiale il 26 luglio 1914 Mussolini, sull’onda dell’attentato di Sarajevo, pubblica su L’Avanti l’articolo “Abbasso la guerra”. La sua posizione quindi è chiaramente pacifista ma poco meno di un anno dopo, l’11 aprile del 1915, Mussolini viene arrestato durante una manifestazione interventista: le sue idee sono radicalmente cambiate.


La Repubblica di Salò
Seicento giorni, quasi due anni nei quali l’Italia settentrionale fu una nazione senza capitale, amministrata da un governo senza sede, difesa da un esercito controllato da ufficiali stranieri: la Repubblica Sociale di Salò.
Il professor Emilio Gentile ne ripercorre le vicende.
Il 18 settembre 1943 Mussolini, da Radio Monaco, torna a parlare agli italiani e annuncia la nascita di un nuovo stato fascista.
Il 28 aprile 1945 il duce viene fucilato e il suo cadavere esposto in Piazzale Loreto a Milano.
Tra queste date si apre e si chiude la parentesi della Repubblica di Salò: un lungo periodo durante il quale l’Italia vive spaccata in due. Da una parte il regno del Sud con il governo legittimo e gli anglo-americani, dall’altra il Nord sotto il controllo del governo fascista repubblicano e dei nazisti.


Gauguin
“Nessuno avrebbe potuto immaginare che questo ‘pittore della domenica’, per un fatto non dipendente dalla sua volontà, per la perdita del lavoro, sarebbe diventato uno dei più grandi artisti dell’arte moderna”. Così il professor Emilio Gentile parla di un maestro della pittura, il “pennello” di Tahiti e dei Mari del Sud: Paul Gauguin.
Una vita, quella di Gauguin, che cambia radicalmente in un anno: il 1883, quando perde il lavoro di agente di cambio. Da quel momento, per lui, esisterà solo la pittura.
Dopo un primo periodo parigino, si trasferisce nel 1886 a Pont Aven, un paesino della Bretagna. Qui comincia ad affinare l’interesse per le culture semplici e il “primitivismo”, prima della parentesi in Provenza, nel 1888, su invito dell’amico Vincent Van Gogh con il quale, però, litiga.Torna in Bretagna e, nel 1891, compie il passo decisivo: parte per Tahiti.
Al suo arrivo, scrive alla moglie una lettera in cui la realtà gli appare molto più bella di quanto non si rivelerà davvero: “Questa descrizione – dice il professor Gentile - fa parte del mito che ha spinto Gauguin ad andare ad Tahiti perché s’illude che la vita costi poco e che si possa vivere nella totale innocenza. L’immagine che trasmette alla moglie è un’immagine del mito che è stato distrutto dalla colonizzazione francese. Arriva nel giugno del 1891 in una cittadina molto borghese. Sono tutti vestiti con delle lunghe palandrane. Sbarca con i capelli lunghi e viene scambiato per un omosessuale, si deve tagliare i capelli per entrare in questa società borghese, ma non l’accolgono…”.
Non è una vita facile, Gauguin – che continua a creare capolavori - riparte per la Francia, ma non riesce a star lontano dai Mari del Sud dove cerca, soprattutto, l’isolamento. Una ricerca continua che lo porta, nel 1901, alle isole Marchesi, nel Pacifico orientale. È la scelta definitiva, l’approdo del suo percorso umano e artistico.


I compleanni tricolori
Tre volte cinquanta: 1911, 1961, 2011. Le tre date in cui l’Italia ha festeggiato i compleanni “tondi” della propria Unità, ricorrenze celebrate in atmosfere politiche, culturali e sociali molto diverse.
Si parte dal 1911: l’Italia è monarchica e liberale, i rapporti con la Chiesa sono sempre tesi, comincia l’avventura coloniale di Libia. E in questo clima si festeggia in grande stile il “Giubileo della Patria”, soprattutto a Torino e Roma, dove viene inaugurato il Vittoriano. Il secondo appuntamento, il 1961, arriva in un mondo completamente cambiato, anche nei sentimenti popolari, dopo due Guerre Mondiali, il Fascismo e la ricostruzione: il capo dello stato è Gronchi, il presidente del consiglio Fanfani, in Vaticano siede Giovanni XXIII. Il Centenario, festeggiato con le grandi manifestazioni di Italia ’61 a Torino, arriva in pieno boom economico.
“L’Italia – dice il professor Gentile - veniva per la prima volta fuori dall’Italia contadina. Inizia la società dei consumi con frigoriferi, telefoni, elettrodomestici e il ‘miracolo italiano’ che però non venne dal cielo, ma dal lavoro degli italiani. Non si poteva più fare un paragone con il 1911: c’è una trasformazione antropologica con la nascita di una società industriale, la migrazione interna con milioni di italiani che dal sud vanno al nord”.
I festeggiamenti dei 150 anni, nel 2011, infine, non sembrano nascere sotto i migliori auspici: non ci sono grandissime manifestazioni e anche un parte della politica accoglie la ricorrenza con freddezza.
“Sono tre Italie completamente diverse – conclude Gentile – Nel 1911 la parte della popolazione coinvolta nella scuola e nel servizio militare sentì di più il senso; nel 1961 gli italiani erano completamente indifferenti; nel 2011 ci fu un grande entusiasmo ma quello che è accaduto dopo, con la crisi economica, è la prevalenza del senso cinico su quello civico . Stato partiti e parlamento sono al punto più basso della fiducia dei cittadini…”.


Mosse. Storico del nazismo
È una figura poco conosciuta, ma è stato uno degli storici più importanti per la comprensione del Nazismo. Un uomo vittima e testimone di quel periodo: George Mosse.
Figlio di una famiglia ebrea a capo di un impero editoriale, George Mosse –inizialmente “infatuato”di Hitler - fugge dalla Germania nel 1933, a poche ore dall’'entrata in vigore delle norme che vietano agli ebrei di lasciare la Germania.
Ha quattordici anni e, da solo, lascia il collegio dove studia per raggiungere i familiari, già rifugiati in Svizzera. È una fuga rocambolesca, a bordo dell’'ultimo traghetto che attraversa il lago di Costanza.
La sua nuova vita comincia in Svizzera, poi Parigi, gli studi a Londra, l'’America. Lo muove la passione per la storia, inizialmente per il Seicento inglese. Ma dagli '50 comincerà a interrogarsi soprattutto su ciò che è stato il Nazismo, arrivando a formulare una teoria innovativa, che si materializza nel 1975 con la pubblicazione del libro “La nazionalizzazione delle masse”.
La tesi di Mosse è che il Nazismo sia stato un culto che aveva preso come modello la religione cristiana. Un culto che portava ad escludere, in modo violento, chi era “diverso” dall'’uomo disegnato dal Reich. Un tema, quello della diversità, sui cui Mosse –ebreo e omosessuale, morto nel 1999 –continua a lavorare anche dopo la pubblicazione di quel libro, ritenuto fondamentale per capire la nascita del Nazismo e i suoi orrori.


Cuba-USA 1898-1961
Poco più di sessant’anni: dal 1898 al 1961. Un periodo in cui, tra Cuba e Stati Uniti, si crea una frattura sembrata a lungo insanabile: prima l’'indipendenza dell'’isola, passata da colonia spagnola a repubblica sotto la tutela americana, poi la rivoluzione castrista e l’'alleanza con il “nemico”, l'’Unione Sovietica. Anni ricostruiti dal professor Emilio Gentile.
Dopo la guerra del 1898 tra Spagna e Stati Uniti, Cuba si libera dall’'essere colonia di madrid. Diventa Stato indipendente, ma di fatto sotto il controllo americano. Una situazione che si protrae fino al 1959 quando, il primo gennaio, i “barbudos”di Fidel Casto entrano all’'Avana e spodestano il dittatore Fulgencio Batista, sponsorizzato dagli Stati Uniti.
Per il Terzo Mondo è una ventata di speranza. E persino i progressisti americani guardano con benevolenza a Fidel Castro. Ma durerà molto poco e Castro –che usa il pugno di ferro contro gli uomini del precedente regime –si avvicina all'’Unione Sovietica e ne ottiene la protezione. Per gli Usa, in piena Guerra Fredda, rovesciare Castro diventa una priorità. Ma il tentativo dello sbarco alla baia dei Porci, nel 1961, si trasforma in un fiasco: i cubani, lungi dall'’appoggiare il tentativo, si arruolano in massa nell’'esercito di Fidel e respingono gli “invasori”.
Un fallimento che, però, non ferma i tentativi statunitensi di liberarsi del “Lider Maximo”, tra sabotaggi e progetti di omicidio. Solo di recente qualcosa sembra essere cambiato, con l’'annuncio di Obama e Raul Castro di voler riprendere le relazioni, dopo un gelo durato mezzo secolo.


Portella della Ginestra
Un primo maggio di sangue: quello della strage di Portella della Ginestra, in Sicilia, nel 1947. Undici persone uccise, altre ventisette ferite sotto i colpi della banda di Salvatore Giuliano.
Protagonista assoluto è il “bandito”, Salvatore Giuliano. La sua carriera criminale comincia nel 1943 uccidendo un carabiniere che vuole fermarlo mentre trasporta sacchi di frumento provenienti dal mercato nero. Fugge e comincia a imperversare tra proprietari terrieri, imprenditori, commercianti, sempre imprendibile. Nel 1945, in un difficile dopoguerra, entra a far parte dell’Evis, il braccio armato del movimento indipendentista siciliano che viene, però, sciolto dopo la concessione dell’autonomia alla Sicilia. Giuliano non depone le armi. E la strage di Portella della Ginestra contro i lavoratori che tornano a festeggiare il primo maggio è l’episodio che segna l’apice dell’attività della sua banda. Ma chi sono i mandanti? Quanto c’entrano la mafia e la politica? Domande che, ancora oggi, nonostante le verità processuali – fanno discutere. Anche perché Salvatore Giuliano non sarà mai processato per quella strage, come accade invece per altri uomini della sua banda. Viene, infatti, ucciso tra il 4 e il 5 luglio del 1950.


Titanic
Lo chiamavano l’“inaffondabile”. Ma il suo nome – da simbolo del progresso a fallimento della tecnologia - è diventato sinonimo di ben altro: Titanic. Una nave e una tragedia raccontati dal professor Emilio Gentile, che ne ripercorre le rotte tra il 31 maggio 1911, quando il Titanic viene varato, e il 14 aprile 1912, quattro giorni dopo essere salpato per il suo primo viaggio da Southampton a New York, con oltre 2200 passeggeri. È la notte in cui la nave si scontra con un iceberg, si spezza e affonda: un naufragio che costa la vita a oltre millecinquecento passeggeri.
Il Titanic è il “gioiello“ dell’epoca dei transatlantici, navi che racchiudevano in sé il lusso più sfrenato delle classi ricche e le speranze degli emigranti dia terza classe. I suoi “padri” sono un banchiere americano J.P. Morgan e un armatore inglese, Ismay; il suo luogo di nascita, i cantieri irlandesi di “Harland & Wols”, a Belfast. Occorrono poco più di due anni per completarlo. In sé racchiude tutte le più moderne tecnologie, persino la radio, che sarà fondamentale per lanciare l’Sos. Ha, però, una pecca: le sue scialuppe di salvataggio non sono in numero sufficiente. Anche per questo la tragedia del Titanic, dopo l’impatto con l’iceberg, assunse proporzioni così grandi. Perché non erano abbastanza? perché nessuno si accorse di quell’iceberg? e come mai i soccorsi impiegarono tanto tempo per arrivare nella zona del naufragio? Qualunque sia la risposta un dato è certo: la fine del Titanic segna, tragicamente, anche la fine di un’era e del mondo della belle époque.


La settimana rossa: una rivoluzione italiana
Nel Giugno del 1914 in Italia viene proclamato uno sciopero generale, il più grande mai organizzato dai tempi dell’unità nazionale. Per due giorni, buona parte del Paese resta letteralmente paralizzata e per altri cinque giorni si susseguono incidenti e scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine, tanto da far credere che una rivoluzione fosse alla porte.
I fatti hanno inizio il 7 Giugno, quando i Carabinieri sparano e uccidono tre partecipanti ad un corteo antimilitarista ad Ancona.
Il 9 Giugno i sindacati indicono lo sciopero generale e contemporaneamente nelle Marche, in Romagna e in alcune zone della Toscana inizia una violenta insurrezione.
Dopo alcune giornate di tensioni e proclami incendiari, il 14 del mese tutto finisce e torna la normalità.
Le giornate di quella che sarebbe stata chiamata “Settimana Rossa”, vennero presto dimenticate, anche perché dopo meno di due mesi sarebbe scoppiata la Grande guerra.
Il professor Emilio Gentile ripercorrerà quest'episodio poco conosciuto e poco raccontato della storia italiana del XX secolo, spiegandone l’importanza.


4 giugno 1944: Liberazione di Roma
Il 4 giugno del 1944 Roma viene liberata dai nazifascisti dopo un’occupazione durata 9 mesi.
La popolazione romana affronta privazioni, violenze e sofferenze, è in bilico tra l’insurrezione armata e la resistenza passiva.
Liberata dagli Alleati la capitale scopre che i suoi problemi non sono finiti. Il primo, e più urgente, resta la fame.
C’è comunque la voglia di ricominciare e il desiderio, talvolta rabbioso, di chiudere i conti col passato regime.
In questa puntata si ricostruisce l’avvenimento attraverso tre date fondamentali:
l’8 settembre 1943, il giorno della firma dell’Armistizio con gli Alleati e la successiva occupazione tedesca della città;
il 4 giugno 1944, la Liberazione della capitale da parte delle truppe alleate;
il 18 settembre 1944, il giorno che ha segnato uno degli episodi più drammatici del dopo-liberazione, il linciaggio dell’ex direttore del carcere di Regina Coeli, Donato Carretta vittima di una vendetta popolare.


Don Primo Mazzolari: il parroco che sfidò il regime
Don Primo Mazzolari è il parroco che ha sfidato il regime fascista con i soli principi della religione e del Vangelo.
Questa storia inizia nel 1915, quando il giovane don Mazzolari parte per il fronte come cappellano militare e si conclude dopo anni di resistenza antifascista, nel 1945, alla fine del secondo conflitto mondiale.
Fin dalla Grande Guerra, don Primo Mazzolari si interroga sulle responsabilità della Chiesa nella crisi della società moderna. Ma è il fascismo a ispirare al sacerdote una compiuta riflessione sulla funzione della religione di fronte al potere.
La meditazione di un “povero parroco di campagna” - come lui stesso si definisce – anticipa così negli anni '20 temi e problemi che la cultura cristiana arriverà a trattare nei decenni successivi.


Giuseppe Prezzolini: la voce dell`interventismo
Giuseppe Prezzolini, intellettuale, editore, giornalista e scrittore è stato uno degli uomini di cultura italiani più importanti del '900. La sua attività copre quasi tutto il XX secolo.
Ha appena 18 anni quando viene assassinato Umberto I di Savoia e ne ha 99 quando si forma il primo governo a guida laica della Repubblica, presieduto da Giovanni Spadolini.
In questa puntata si affronta un periodo particolare della lunga avventura umana e culturale di Giuseppe Prezzolini:
dal dicembre 1908, quando nasce a Firenze la rivista La Voce, da lui fondata e diretta, al settembre 1911, l’inizio della guerra italo-turca per il controllo di Tripoli e della Cirenaica, fino al fatidico 24 maggio 1915 che segna l’intervento dell’Italia nel primo conflitto mondiale.
Proprio Giuseppe Prezzolini, che firma i suoi articoli con lo pseudonimo Giuliano il Sofista, sarà uno dei più accesi sostenitori dell’intervento nella Prima guerra mondiale.


La preistoria dell’Unione Europea
Oggi l’Unione Europea è un’ organizzazione internazionale con 28 paesi membri, un proprio Parlamento, una banca centrale e un mercato comune in parte caratterizzato da una moneta unica, l’euro. Ma prima di diventare una realtà politica, l’Unione europea è stata per molto tempo soltanto un grande ideale condiviso.
Ripercorriamo il viaggio che ha portato all’Europa odierna, dal 1700 quando nel clima dell’illuminismo nasce l’idea di un’Europa dei popoli, per arrivare al termine della seconda guerra mondiale, nel 1946, a Zurigo con un solenne discorso paneuropeo del primo ministro inglese Winston Churchill. Si scopre così che l’“Europa unita” è stata per diversi secoli solo un’idea capace però di animare il continente, ispirare le teorie dei filosofi, le rivoluzioni dei popoli oppressi e accendere le fantasie di imperatori e dittatori.


Don Luigi Sturzo: l`antifascista in esilio
Sacerdote, fondatore di un partito politico, oppositore di Mussolini, antifascista esiliato, studioso del totalitarismo, infine senatore a vita nella Repubblica. Tutto questo è stato don Luigi Sturzo.
Nel 1919, dopo decenni di duro contrasto tra Chiesa e Stato, egli fonda il Partito Popolare Italiano, riaprendo la via ad un impegno dei cattolici nella politica italiana. Combatte poi l'ascesa di Mussolini, ma nel 1924 deve andare in esilio. Farà ritorno in Italia solo nel 1946. Nel frattempo si dimostra un acuto analista del totalitarismo, sistema politico che allora era in auge in vari paesi europei.
E' appunto sui suoi 22 anni d'esilio, a Londra e poi a New York, che si concentra questa puntata de Il Tempo e la Storia. Lo storico Emilio Gentile ci guida a conoscere meglio una figura chiave del cattolicesimo politico italiano.


Bonapartismo: l`arte di sedurre i popoli
Il 9 novembre del 1799 Napoleone Bonaparte dà vita con un colpo di Stato a un governo autoritario fondato sulla dittatura personale.
Qualche decennio dopo, il 2 dicembre 1851, suo nipote, Napoleone III con un nuovo colpo di Stato spazza via la Seconda Repubblica e inaugura il II Impero.
All’evento, il filosofo Karl Marx dedica nel 1852 un saggio: Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, e la nascita di una nuova categoria politica: il bonapartismo.
Quali sono gli elementi specifici del bonapartismo?
Somiglia ad altre esperienze come il Cesarismo e in che rapporto è con le forme totalitarie del XX secolo, fascismo, nazismo e stalinismo?
Emilio Gentile evidenzia come il suffragio universale sia uno strumento della sovranità popolare per eleggere i governanti ma non sempre la maggioranza sceglie la libertà, come dimostrano i plebisciti che, in due differenti epoche dell'Ottocento, approvarono i regimi autoritari di Napoleone Bonaparte e di suo nipote Napoleone III.
Da allora il bonapartismo è divenuto un concetto per definire le dittature instaurate in nome del popolo e fondate sui miti del capo e della grandezza nazionale.


Le fosse Ardeatine 70 anni dopo
L’eccidio delle Fosse Ardeatine è uno degli episodi più tragici della guerra partigiana. in due giorni si svolge la drammatica vicenda.
Il 23 marzo 1944 i GAP Gruppi d’Azione Patriottica fanno scoppiare una bomba in Via Rasella. L’attentato provoca 32 morti fra i soldati tedeschi.
Il 24 marzo i tedeschi fucilano per rappresaglia 335 italiani. Il luogo prescelto sono le cave di pozzolana sulla via Ardeatina.
Responsabile dell'eccidio, Herbert Kappler, l’ufficiale delle SS tedesche.
Alla memoria di quei fatti, Il Tempo e la Storia cerca di sovrapporre lo sguardo di chi affronta la vicenda per la prima volta oggi, 70 anni dopo, come gli studenti del Liceo romano Pio Albertelli andati sul luogo dell’eccidio.
La ricostruzione attraverso documenti degli archivi Rai, rapporti tra la Chiesa di Roma e i tedeschi, l’organizzazione della resistenza nelle parole di Sandro Pertini, membro del Comitato di Liberazione Nazionale, la cronaca dell’attentato a Via Rasella e la rappresaglia nazista.
Secondo lo storico Emilio Gentile: “La violenza straripa proprio in prossimità della fine della guerra; le rappresaglie e i massacri servono a dimostrare che il corpo del nemico vinto è a loro diposizione”.


Verso la Grande Guerra
Il legame di parentela che univa tre dei quattro imperi più importanti d’Europa sembrava essere una garanzia solida di pace. Ma non fu così. I vastissimi imperi su cui governano dagli inizi del XX secolo tre cugini, Giorgio V Re d’Inghilterra, Guglielmo II, Kaiser di Germania e Nicola II Zar di Russia, saranno coinvolti nella Prima Guerra Mondiale.
Le tappe fondamentali verso la Grande Guerra sono: Londra, il 20 Maggio del 1910, quando i tre sovrani si ritrovano per il funerale di Edoardo VII, padre di Giorgio; Sarajevo, il 28 giugno del 1914, il giorno dell’assassinio dell’erede al trono d’Austria che segna l’inizio dell’escalation verso la Grande guerra e infine, Vienna un mese dopo, il 28 di Luglio, quando l’Austria dichiara guerra alla Serbia.


Giolitti
Febbraio 1901.
Giovanni Giolitti entra nel governo Zanardelli come ministro dell’Interno e da quel momento terrà le fila della politica italiana fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, nel 1914.
Durante la cosiddetta “età giolittiana”, nascono le maggiori industrie del paese, si costruiscono ferrovie, le assicurazioni diventano statali e la scuola diventa obbligatoria e gratuita fino a 12 anni.
Secondo Giolitti, progresso industriale, prosperità del paese, avanzamento culturale e miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori sono processi intimamente legati tra loro e devono svilupparsi con la mediazione dello Stato, attraverso un graduale processo di riforme.
Nei due mandati del primo decennio del 1900, Giolitti introduce nuove norme a tutela del lavoro: sulla vecchiaia, sull’invalidità, sugli infortuni. Nuovi limiti di orario e di età per il lavoro femminile e minorile.
Ma è un equilibrio delicato. Le agitazioni sindacali e i conflitti sociali segneranno tutta l’età giolittiana e alla fine ne decreteranno il tramonto.


La rivoluzione liberale
Pochi personaggi sono riusciti a lasciare un segno così profondo nella cultura italiana del Novecento come Piero Gobetti. Un ragazzo di 25 anni, perseguitato e aggredito perché ritenuto da Mussolini più pericoloso di tanti avversari politici. La sua morte però non è riuscita a cancellarne le parole, ancora oggi vive nella cultura del nostro tempo.
“Gobetti – sottolinea lo storico Emilio Gentile – era un liberale che vedeva nella rivoluzione bolscevica il compimento del suo credo politico; il fascismo come autobiografia della nazione”. Nel 1918 a Torino Piero Gobetti fonda la sua prima rivista, Energie Nove per portare una ventata innovativa nel dibattito culturale italiano e quando nel ‘22 esce il primo numero de La Rivoluzione liberale, il compito che si prefigge la rivista, alla quale collaborano tra gli altri Amendola, Sturzo e Gramsci, è quello di formare una nuova classe politica. Nella puntata de Il Tempo e la Storia il racconto di Gobetti attraverso le parole di Carlo Levi e Norberto Bobbio, la Torino della sua formazione, la differente lettura del fascismo con un altro grande intellettuale quale era Giuseppe Prezzolini e i documenti dell’Archivio centrale di Stato dove nero su bianco Mussolini in un telegramma al Prefetto di Torino chiede di vigilare e di essere informato per “rendere la vita difficile” a Piero Gobetti, oppositore del governo e del fascismo.


Mussolini socialista
Nel gennaio del 1910, a 27 anni Benito Mussolini è segretario della Federazione socialista di Forlì.
Due anni dopo, al Congresso Nazionale del Partito Socialista di Reggio Emilia, nonostante sia poco più di uno sconosciuto, ottiene un successo clamoroso e alcuni mesi successivi viene nominato direttore de L’Avanti, l’organo ufficiale del PSI.
Una scalata rapidissima ai vertici del partito quella di Mussolini che il socialismo lo respira fin da ragazzo.
La sua formazione politica passa per l’attivismo del padre, esponente socialista della provincia romagnola che nel 1902 emigra in Svizzera.
È qui che Mussolini scopra la vocazione di giornalista; scrive su L’Avvenire del Lavoratore e sull’Avanguardia socialista di Arturo Labriola, a Losanna affina la sua preparazione culturale e si rivelano fondamentali i rapporti stretti con esponenti di spicco del partito come Angelica Balabanoff e i gruppi di sindacalisti rivoluzionari.
Per Mussolini – commenta lo storico Emilio Gentile – il sindacalismo rivoluzionario non era solo la più vigorosa forma contro il riformismo, ma era la dottrina che, con la teoria dell’azione diretta, conferiva nuovo vigore alla concezione rivoluzionaria del socialismo.
Nella puntata de Il Tempo e la Storia tra i documenti storici delle Teche Rai, anche l’intervista di Sergio Zavoli a Pietro Nenni che nel 1911, quando Mussolini fu arrestato a seguito delle agitazioni contro l’occupazione di Tripoli in Libia, con lui condivise la cella.
Per Nenni Mussolini non è mai stato veramente un rivoluzionario socialista, piuttosto un ribelle interessato a raggiugere il potere.


La "Brutta" Époque?
L’Europa celebra la sua potenza imperiale e il suo modernismo mentre già sono presenti tutti i semi che porteranno alla guerra mondiale.
Il 14 aprile del 1900 e a Parigi si inaugura la più grande ed entusiastica celebrazione della modernità che la Storia ricordi: l’Esposizione Universale.
L’Europa, in pace da 30 anni, espande la sua potenza commerciale nel mondo e con essa la sua civiltà. Eppure, soltanto 15 anni dopo, l’Europa entrerà in guerra.
Com’è potuto accadere?
Lo sport, Peter Pan, Capitan Uncino, La Guerra dei due mondi di H.G. Wells e il Titanic, cosa c'entrano con la Grande Guerra?
In Italia la manifestazione più dirompente della rigenerazione sarà il Futurismo.


La marcia su Roma
E’ il 28 ottobre 1922. L’Italia del primo Dopoguerra attraversa da tempo un periodo di forte instabilità politica ed economica.
In questo clima d’incertezza il movimento fascista cresce, tra violenze, minacce e promesse di ristabilire ordine. Approfittando di una crisi di governo, i fascisti si armano, calano in forze su Roma e spingono il Re Vittorio Emanuele III a dare l’incarico di governo a Benito Mussolini.
Lo storico Emilio Gentile offre un’analisi della marcia su Roma guardandola da un punto di vista particolare: quello delle commemorazioni organizzate l’anno successivo e partendo da alcuni oggetti simbolo, come la moneta celebrativa del primo anniversario, il 28 ottobre 1923. Si tratta, sottolinea il professor Gentile, di un conio senza precedenti per un normale passaggio istituzionale.
La moneta inoltre raffigura il Re da un lato e il fascio littorio dall’altro. Come dire che monarchia e partito fascista sono i due fondamenti dello stato e per altri non c’è spazio. E’ quel totalitarismo a cui Mussolini aveva fatto riferimento già pochi giorni prima la marcia su Roma, in un discorso pubblicato su le pagine del Popolo d’Italia.
La "fever of delight" (la gioia febbrile di Roma raccontata dal New York Times per l’anniversario della marcia), le manifestazioni trionfalistiche, il giubilo di una commemorazione che due anni dopo diventerà anche giorno di festa nelle scuole: questo il filo rosso di una narrazione tracciata da un'inedita prospettiva.


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