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SONETTI, di William Shakespeare

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view post Posted on 22/6/2014, 20:20
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Nel 450° anniversario della nascita di William Shakespeare Radio3 propone la lettura integrale dei Sonetti di Shakespeare interpretati dai migliori attori italiani di generazioni diverse, accostati alle voci di grandi presenze della scena inglese. Tutto questo a partire dal 21 marzo e fino al 23 aprile. I sonetti, scritti tra il 1593 e il 1595, rappresentano il grande laboratorio poetico e linguistico del giovane Shakespeare da poco arrivato a Londra e che sarebbe ben presto diventato uno degli autori più importanti di tutti i tempi. In questi brevi componimenti Shakespeare riflette sul Tempo (sempre con la maiuscola) che trascorre implacabile sulle cose e sugli uomini, il bisogno di procreare per proseguire la propria esistenza, l’amore nelle sue mille sfaccettature, dal sentimento più profondo all’erotismo più giocoso, con una lingua articolata e complessa piena di giochi di parole e di eleganti variazioni linguistiche su una precisa struttura metrica e di rima.



Link ai file con la versione in inglese e in italiano

www.mediafire.com/?778td46h4eqr9




Link ai file con la sola versione in italiano

www.mediafire.com/?rq7s9di6149eq



001 − (lettore italiano Lella Costa) − Dalle creature più belle desideriamo una progenie, così che la rosa della bellezza possa non morire mai, ma, quando maturando col tempo dovrà poi finire, la tenera sua erede possa recarne la memoria; ma tu, congiunto ai tuoi occhi luminosi, la fiamma della tua luce nutri con la tua stessa sostanza, facendo carestìa là dove regna l’abbondanza, tu stesso il tuo nemico, col tuo dolce io troppo crudele. Tu che ora sei del mondo il fresco ornamento e l’unico araldo della sfarzosa primavera, nel tuo boccio sotterri quel che in te è contenuto, e, tenero spilorcio, fai spreco in avarizia. Abbi pietà del mondo, o sarai un tale ingordo da mangiare ciò ch’è dovuto al mondo in te e nella tomba.

002 − (lettore italiano Fausto Russo Alesi) − Quando quaranta inverni assedieranno la tua fronte e nel campo della tua bellezza scaveranno trincee profonde, la superba livrea della tua giovinezza, ora così ammirata, sarà un panno cencioso tenuto in poco conto. Se ti si chiedesse allora dove sia la tua bellezza, dove tutto il tesoro dei tuoi ardenti giorni, dire nei tuoi stessi occhi infossati sarebbe una vergogna divorante e una lode non proficua. Quanta maggior lode meriterebbe l’uso della tua bellezza, se tu potessi rispondere, “Questo mio bel figlio salderà il mio conto, e scuserà la mia vecchiaia”, dimostrando la sua bellezza, tua, per successione. Significherebbe ritornare nuovo, quando sarai vecchio, e veder caldo il tuo sangue, quando lo sentirai freddo.

003 − (lettore italiano Lucrezia Guidoni) − Guarda nel tuo specchio e di’ al volto che ci vedi che ora è il tempo per quel volto di formarne un altro; se ora tu non rinnovi il suo fresco aspetto, inganni il mondo, e una madre privi della benedizione. Perché dov’è la donna così bella il cui grembo insolcato disdegni d’esser dissodato dalla tua cura virile? O qual è l’uomo così fatuo da voler essere la tomba dell’amor di se stesso, fino ad arrestare la posterità? Tu sei lo specchio di tua madre, e lei in te rimemora il leggiadro aprile del tuo rigoglio; e così, per le finestre della tua vecchiaia, tu vedrai, a dispetto delle rughe, questo tuo tempo dorato. Ma se vivi in modo da non essere ricordato, muori solo, e la tua Immagine muore con te.

004 − (lettore italiano Giovanni Franzoni) − Leggiadra spettatrice, perché spendi per te sola il lascito della tua bellezza? In eredità la Natura nulla cede, ma solo presta, e, generosa, presta a chi è prodigo. Perché allora, bell’avaro, fai cattivo uso del ricco dono che ti fu dato per dare? Usuraio senza profitto, che vai usando così grande somma di somme, eppure non ne vivi? Trafficando solo con te stesso, defraudi te stesso del dolce te stesso. Allora, quando la Natura ti chiamerà a partire, quale accettabile bilancio potrai lasciare? Non usata, la tua bellezza sarà con te sepolta, che usata, invece, vivrà per eseguire il tuo testamento.

005 − (lettore italiano Michele Nani) − Quelle ore che modellarono con lavoro gentile l’amabile sembiante sul quale ogni occhio indugia si faranno tiranne contro di lui, togliendo la bellezza a chi nella bellezza eccelle; poiché il Tempo che mai riposa spinge l’estate innanzi nell’orrido inverno e ve l’affonda, linfa fermata dal gelo e forti foglie perdute, bellezza sommersa da neve e nudità dovunque. Se non restasse allora l’essenza dell’estate, liquida prigioniera chiusa in muri di vetro, l’effetto della bellezza sarebbe tolto con la bellezza, sparita quella, e insieme il suo ricordo. Ma i fiori distillati, anche se incontrano l’inverno, non perdono che l’apparenza; la sostanza ne vive ancora dolce.

006 − (lettore italiano Flavio Albanese) − Non lasciare dunque alla ruvida mano dell’inverno deturpare in te la tua estate, prima che ti sia distillato: profuma un’ampolla, intesora un qualche luogo col tesoro della bellezza prima che essa si uccida. Non è proibita usura quell’interesse che allieta chi paga il prestito voluto; e per te ciò sarebbe creare un altro te, o dieci volte meglio se fosse del dieci a uno: dieci volte saresti più felice che tu non sia, se dieci dei tuoi dieci volte ti rifigurassero; che cosa potrebbe la morte, allora, se ti dipartissi lasciando te vivente nella posterità? Non essendo egoista, perché sei troppo bello per rimanere preda della morte e far tuoi eredi i vermi.

007 − (lettore italiano Francesco Rossini ) − Guarda ad oriente quando il grazioso lume leva il capo infuocato, ogni occhio terreno rende omaggio alla sua vista che di nuovo appare, servendo con gli sguardi la sua sacra maestà; e quando ha scalato il colle ripido del cielo, simile alla forte giovinezza nel colmo dell’età, sguardi mortali ne adorano ancora la bellezza, scortando il suo dorato pellegrinaggio. Ma, quando dal più alto punto col suo stanco carro come debole vecchiaia barcolla giù dal giorno, gli occhi, prima riverenti, ora sono distolti dal suo basso tragitto e guardano per altra via. Così tu, lasciandoti indietro al tuo meriggio, morirai trascurato, se non ti acquisti un figlio.

008 − (lettore italiano Federica Fracassi) − Tu, musica ai miei orecchi, perché ascolti la musica tristemente? Dolci cose con dolci non fanno guerra, gioia si delizia in gioia. Perché ami quello che accogli non lieto, o forse accogli con piacere quello che ti tedia? Se la piena armonia di ben accordati suoni, in unione congiunti, offende il tuo orecchio, è perché dolcemente ti rampogna, te che confondi in un a solo le parti che dovresti distinguere. Guarda come una corda, dell’altra dolce sposa, vibra con quella in mutua rispondenza, come padre e figlio e lieta madre, che tutti insieme cantano una stessa dolce nota: il loro canto senza parole, di molti che paiono uno, così a te canto: “Tu, solo, risulterai nessuno”.

009 − (lettore italiano Loris Fabiani) − E’ per paura di bagnare l’occhio di una vedova che consumi te stesso in una vita solitaria? Ah, se senza prole t’accadesse di morire, il mondo ti compiangerà come moglie senza sposo; il mondo sarà tua vedova e sempre piangerà che nessuna forma di te ti sei lasciato dietro, mentre ogni comune vedova può ben serbare in mente, negli occhi dei suoi figli, la figura del marito. Tutto quel che il prodigo spende nel mondo non cambia che di posto, perché il mondo tuttavia lo gode; ma la bellezza sprecata trova fine nel mondo, e, tenuta inusata, chi la usa così la distrugge. Nessun amore per gli altri regna in quel petto che commette su di sé questa infamia assassina.

010 − (lettore italiano Annibale Pavone) − Vergogna, riconosci di non amare nessuno, tu che con te stesso sei così imprevidente! Riconosco, se vuoi, che sei da molti amato, ma che non ami nessuno è del tutto evidente; perché sei così posseduto da odio assassino che non esiti a cospirare contro te stesso, cercando di rovinare quella splendida casa che dovrebbe esser tuo primo desiderio restaurare. Oh, cambia idea, perché io possa cambiar opinione! Avrà l’odio miglior dimora del tenero amore? Sii com’è la tua presenza, grazioso e gentile, o con te stesso almeno mostrati gentile nel cuore: crea un altro te stesso, per amor mio, così che la bellezza viva sempre, in te o nei tuoi.

011 − (lettore italiano Marco Cacciola) − Rapido come andrai declinando tu ricrescerai, in uno dei tuoi, da quello che lasci, e quel fresco sangue che giovane investi potrai chiamarlo tuo, quando via da gioventù ti sarai volto: in questo, sta saggezza, bellezza e accrescimento; fuori di questo, follia, vecchiaia e fredda decadenza. Se tutti la pensassero così, cesserebbero i tempi e tre volte vent’anni disfarebbero il mondo. Quelli che la Natura non creò per procreare, rozzi, informi e sgraziati, periscano sterili; ma chi essa meglio dotò, a quello diede di più, e tale generoso dono tu dovresti generosamente coltivare. Essa ti intagliò come suo sigillo, e così intese che tu improntassi altri, non che lasciassi morire il modello.

012 − (lettore italiano Pierluigi Corallo) − Quando conto l’orgoglio che racconta il tempo, e vedo il giorno superbo sprofondato nell’odiosa notte; quando osservo la viola non più in fiore, e riccioli neri tutti inargentati di bianco; quando alberi sublimi vedo nudi di foglie che già al gregge schermarono la calura, e il verde dell’estate, stretto in covoni, portato sul carro con bianca ed ispida barba; allora sulla tua bellezza mi vado interrogando, che tra i resti del tempo te ne dovrai andare, perché dolcezze e bellezze smarriscono se stesse e muoiono veloci come ne vedono altre crescere veloci; e niente contro la falce del Tempo può offrire difesa, se non la prole che lo sfidi, quando ti toglierà di qui.

013 − (lettore italiano Marta Zoboli) − Oh se tu fossi tuo! ma, amore, tu sei tuo soltanto finché tu stesso vivi quaggiù; contro tale incombente fine dovresti prepararti e il tuo dolce sembiante dare a qualcun altro. Così quella bellezza che tieni in affitto non troverebbe scadenza; e allora tu saresti te stesso ancora, dopo la morte di te stesso, quando la tua dolce prole recasse la tua dolce forma. Chi lascerebbe decadere una così bella casa, che ben amministrata potrebbe conservare il tuo onore contro le tempestose raffiche del giorno invernale e l’aria furia del freddo eterno della morte? Oh, solo gli scialacquatori, mio caro amore, tu sai; tu avresti un padre, lascia che un tuo figlio dica lo stesso.

014 − (lettore italiano Fabrizio Falco) − Non dalle stelle io colgo il mio giudizio, eppure mi sembra di saper d’astrologia; ma non per predire buona o mala sorte, pestilenze, carestie, o tipo di stagione; né so ai brevi minuti raccontare la fortuna, assegnando a ciascuno tuono e pioggia e vento, né so dire se ai principi le cose andranno bene per frequenti predizioni che nel cielo trovo. Ma dai tuoi occhi io traggo la mia conoscenza, stelle fisse, in cui leggo questo segreto, che verità e bellezza prospereranno insieme, se tu volgerai da te stesso, a procreare; o altrimenti questo io pronostico di te: la tua fine è di Verità e Bellezza condanna e termine.

015 − (lettore italiano Matteo Caccia) − Quando considero che tutto ciò che cresce solo un breve momento si regge in perfezione, che questo immenso palcoscenico presenta solo apparenze su cui le stelle con segreto influsso fanno commenti; quando percepisco che gli uomini come piante si ingrandiscono incoraggiati e contrastati dal medesimo cielo, si vantano della loro giovane linfa, in vetta decrescono, e consumano il loro superbo stato al di là della memoria; allora il pensiero di questo incostante stare ti pone ricchissimo di giovinezza davanti alla mia vista, dove il Tempo devastatore dibatte con Rovina per mutare il tuo giorno di giovinezza in lurida notte; e in piena guerra col Tempo, per amor tuo, di quanto egli ti toglie io ti innesto nuovo.

016 − (lettore italiano Federica Fracassi) − Ma perché in un modo più potente non fai guerra a questo sanguinario tiranno, il Tempo, e non ti fortifichi nella tua rovina con mezzi più benedetti delle mie sterili rime? Ora tu stai sulla vetta delle ore felici, e molti vergini giardini ancora incolti virtuosamente vorrebbero generarti fiori viventi, a te molto più simili del tuo ritratto dipinto. Così, linee di viva parentela rinnoverebbero quella vita che né il pennello di quest’epoca né la mia penna inesperta, nel tuo intimo valore o nella tua bellezza esterna, possono farti vivere, quale sei, agli occhi degli uomini. Il donare te stesso ti conserverà sempre; tu devi vivere ritratto dalla tua dolce arte.

017 − (lettore italiano Alfredo Angelici) − Chi crederà ai miei versi nel tempo futuro se fossero riempiti dei tuoi più alti meriti? Eppure, lo sa il cielo, essi non sono che una tomba che nasconde la tua vita e non mostra la metà dei tuoi pregi. Se sapessi scrivere la bellezza dei tuoi occhi e in nuovi metri misurare tutte le tue grazie, l’epoca futura direbbe: “Questo poeta mente, questi occhi celesti non toccarono mai volti terreni”. Così le mie carte, ingiallite dall’età, sarebbero derise, come vecchi ciarlieri più veritieri, e i pregi che ti spettano sarebbero definiti furor poetico e prosodia forzata di antiquato canto. Ma se qualche tuo figlio vivesse in quel tempo, tu vivresti due volte, in lui e nelle mie rime.

018 − (lettore italiano Maria Paiato) − Dovrò paragonarti a un giorno d’estate? Tu sei più amabile e più temperato: rudi venti scuotono i diletti boccioli del maggio e l’affitto dell’estate ha durata troppo breve; talvolta troppo caldo l’occhio del cielo splende e spesso l’oro del suo volto è offuscato; e ogni bellezza dalla bellezza prima o poi declina, spogliata dal caso o dal mutevole corso della natura. Ma la tua eterna estate non dovrà svanire né perdere possesso di quella bellezza che è tua, né la morte si vanterà che tu vaghi nella sua ombra, quando in versi eterni tu crescerai nel tempo. Finché uomini respireranno o occhi vedranno, fin tanto vivrà questa poesia, e questa darà vita a te.

019 − (lettore italiano Cristina Crippa) − Tempo divoratore, spunta le zampe del leone e fa’ divorare alla terra la sua dolce progenie; strappa i denti aguzzi dalle mascelle della feroce tigre e brucia nel suo sangue la Fenice dalla lunga vita; crea liete e tristi stagioni mentre fuggi, e fa’ quel che vuoi, Tempo dal piede veloce, al vasto mondo e a tutte le sue effimere dolcezze. Ma io ti proibisco il crimine più orrendo: oh, non incidere con le tue ore la bella fronte del mio amore e non tracciarvi linee con la tua penna antica; lui nel tuo assalto conservalo intoccato, come modello di bellezza per gli uomini che verranno. Ma fa’ pure del tuo peggio, vecchio Tempo: malgrado il tuo torto, il mio amore nei miei versi vivrà sempre giovane.

020 − (lettore italiano Massimiliano Speziani) − Volto di donna, dalla mano stessa di Natura dipinto, hai tu, Signore-Signora della mia passione; cuore gentile di donna, ma non avvezzo alla volubile incostanza che delle false donne è l’uso; occhio più splendente del loro, meno falso nel volgersi, che indora l’oggetto su cui si fissa; uomo nella forma che tutte le forme ha in suo dominio, e gli occhi degli uomini rapisce e l’anima stupisce delle donne. E come donna tu fosti dapprima creato, finché, nel plasmarti, la Natura si perse d’amore, e , con un’aggiunta, me privò di te, aggiungendo una cosa che al mio scopo è nulla. Ma poiché ti eresse per il piacere delle donne, mio sia il tuo amore e loro tesoro il suo uso.

021 − (lettore italiano Cristian Giammarini) − Non può dirsi di me come di quella Musa, mossa a comporre versi da una bellezza dipinta, che il cielo stesso usa per ornamento e ogni cosa bella ripete della sua bella, accoppiandola in superbi paragoni con sole e luna, con ricche gemme di mare e terra, con i primi fiori d’Aprile ed ogni cosa rara che l’aer del cielo in quest’immenso tondo chiude. Oh, che io, sincero in amore, sinceramente scriva, e allora, credimi, il mio amore è altrettanto bello di qualsiasi figlio di donna, pur se non così splendente come quelle candele d’oro infisse nell’aere celeste. Dicano di più quelli cui piace il sentito dire; io non vanterò ciò che non intendo vendere.

022 − (lettore italiano Glauco Mauri) − Il mio specchio non mi persuaderà d’essere vecchio finché tu e giovinezza avrete la stessa età; ma, quando in te scorgerò i solchi del tempo, allora spero che la morte ai miei giorni dia pace. Poiché tutta la bellezza che ti copre non è che la degna veste del mio cuore, che vive nel tuo petto, come il tuo in me; come posso allora essere più vecchio di quanto tu sia? Oh perciò, amore, abbi cura di te stesso, quanta ne avrò io, non per me, ma per te, portando in me il tuo cuore e custodendolo come dal male tenera balia il tuo bambino. Non far conto sul tuo cuore quando il mio sarà ucciso: tu non mi desti il tuo perché te lo ridessi

023 − (lettore italiano Paolo Pierobon) − Come un imperfetto attore sulla scena che per paura scorda la sua parte, o come un essere feroce colmo d’eccessiva furia, a cui l’abbondanza della forza indebolisce il cuore; così io, per paura e per sfiducia, dimentico di dire la perfetta cerimonia del rituale d’amore, e, nella forza stessa del mio amore, mi sento svigorire, sopraffatto dal fardello della potenza. Oh, siano i miei fogli, allora, l’eloquenza e gli àuguri muti del mio parlante petto, che chiedono amore e attendono una ricompensa che sia più grande che per quella lingua che più e di più ha espresso. Oh, impara a leggere ciò che il silenzioso amore ha scritto; udir con gli occhi s’addice al fine ingegno dell’amore.

024 − (lettore italiano Ida Marinelli) − Il mio occhio ha fatto il pittore e ha tracciato la forma della tua bellezza sulla tavola del mio cuore. Il mio corpo è la cornice in cui essa è tenuta, e, fatta in prospettiva, essa è la miglior arte del pittore: perché attraverso il pittore devi vedere la sua maestrìa, per scoprire dove sia la tua fedele immagine dipinta, che sempre pende nella bottega del mio petto, nelle cui finestre si specchia il vetro dei tuoi occhi. Ora vedi che bei servigi gli occhi hanno reso agli occhi: i miei hanno ritratto la tua figura, e i tuoi per me sono finestre sul mio petto, attraverso cui il sole si diletta a sbirciare, per ammirare, là dentro, te. Ma agli occhi manca l’abilità che dia grazia alla loro arte: ritraggono solo ciò che vedono, non conoscono il cuore.

025 − (lettore italiano Ivan Alovisio) − Quelli che hanno il favore delle stelle si vantino di pubblici onori e di titoli superbi, mentre io, cui la fortuna nega simili trionfi, godo in disparte di ciò che più onoro. I favoriti dei grandi principi schiudono i loro bei petali solo come calendola all’occhio del sole, e, in sé e per sé, il loro vanto vien sepolto, perché, ad un cipiglio, muoiono con la loro gloria. L’affannato guerriero, famoso per valore, dopo mille vittorie sconfitto una volta, è del tutto cancellato dal libro dell’onore, e dimenticato è tutto il resto per cui aveva faticato. Felice allora io, che amo e sono amato lì, di dove non mi muoverò, né sarò rimosso.

026 − (lettore italiano Franca Penone) − Signore del mio amore, che con il tuo valore hai legato in vassallaggio la mia devozione, a te invio questa ambasciata scritta, ad attestare omaggio, non a far mostra d’ingegno; omaggio così grande, che un misero ingegno come il mio può far sembrare spoglio, mancando di parole per mostrarlo; ma io spero che qualche tua bella invenzione nel fondo del tuo animo, nudo com’è, egli dia alloggio, finché quale sia la stella che il mio moto guida essa si volga a me propizia con aspetto benigno e metta una bella veste sul mio amore straccione, così da mostrarmi degno del tuo dolce riguardo. Allora potrò osar di vantarmi di quanto ti amo; fino ad allora, non uscirò allo scoperto dove tu possa mettermi alla prova.

027 − (lettore italiano Ferdinando Bruni) − Sfinito dalla fatica, mi affretto al mio letto, il caro riposo per le membra stanche del viaggio; ma allora un altro viaggio mi comincia nella testa, e lavora la mia mente, quando è finito il lavoro del corpo. Allora i miei pensieri, di là lontano dove mi trovo, verso di te fanno un devoto pellegrinaggio, e tengono spalancate le mie palpebre pesanti, a guardare la tenebra che vedono i ciechi. Senonché la vista immaginaria della mia anima presenta al mio sguardo cieco la tua ombra, che, come un gioiello appeso alla notte spettrale, fa la nera notte bella e il suo vecchio volto nuovo. Così di giorno le mie membra, di notte la mia mente, per causa tua, e mia, non trovano quiete.

028 − (lettore italiano Lucia Lavia) − Come posso allora ritornare ad uno stato felice se mi è sbarrato il beneficio del riposo, e l’oppressione del giorno non è alleviata dalla notte, ma il giorno dalla notte e la notte dal giorno sono oppressi, e l’uno e l’altra, sebbene nemici di regno, in pieno accordo si danno mano a torturarmi, l’uno con fatica, l’altra lamentando quanto lontano io m’affanni, sempre da te più lontano? Io dico al giorno, per compiacerlo, che tu risplendi e gli dai grazia quando le nuvole sporcano il cielo; e così lusingo la notte dalla scura pelle, che, quando scintillanti non s’affacciano le stelle, tu rischiari la sera. Ma ogni giorno il giorno allunga il mio dolore, e ogni notte la notte fa sembrare più forte la lunga pena.

029 − (lettore italiano Elena Russo Arman) − Quando in disgrazia con la Fortuna e con gli occhi degli uomini, io tutto solo mi lamento della mia condizione di reietto, e disturbo il cielo sordo con i miei vani gridi, e guardo a me stesso e maledico il mio destino, desiderandomi come uno più ricco di speranza, come quello d’aspetto, come quello circondato di amici, desiderando il talento di quell’uomo, di quell’altro i vasti orizzonti, di ciò di cui più godo meno contento, eppure in questi pensieri quasi disprezzando me stesso, per avventura io penso a te, e allora il mio stato, come l’allodola al rompere del giorno in volo dalla cupa terra canta inni alle porte del paradiso; poiché il tuo dolce amore ricordato reca tale ricchezza che allora disdegno di cambiare il mio stato con i re.

030 − (lettore italiano Cinzia Spanò) − Quando alle assise del dolce silenzioso pensiero convoco la memoria delle cose passate, io sospiro alla mancanza di più d’una cosa che cercai, e con vecchie pene lamento nuovamente lo spreco del mio caro tempo. Allora annego l’occhio, non uso a lacrimare, per preziosi amici nascosti nella notte sterminata della morte, e di nuovo piango pene d’amore da tempo cancellate e lamento la perdita di molte visioni svanite. Allora m’affliggo di passate afflizioni e desolato di dolore in dolore ridico il triste conto di lamenti già lamentati, che nuovamente pago, come se già non li avessi pagati. Ma se, allora, io penso a te, caro amico, tutte le perdite mi vengono rese, e finiscono gli affanni.

031 − (lettore italiano Roberto Latini) − Il tuo petto è impreziosito da tutti i cuori che, mancandomi, avevo supposto morti, e lì regna amore, e dell’amore tutte le amorose parti, e tutti quegli amici che pensai sepolti. Quante mai lacrime sante e luttuose ha rubato ai miei occhi il caro religioso amore, come tributo a quei morti che ora appaiono solo cose trasferite che in te si trovano nascoste. Tu sei la tomba dove vive l’amore sepolto, adorna dei trofei dei miei perduti amici, che a te donarono tutte le parti che di me possedevano, cosi che quel che fu di molti ore è soltanto tuo. Le immagini che amai di loro le vedo in te, e tu, tutti loro, hai tutto quanto di me.

032 − (lettore italiano Giuliana Musso) − Se sopravvivrai al ben accetto giorno del conto mio finale, quando quella spilorcia, la Morte, coprirà le mie ossa di polvere, e per avventura una volta ancora ripercorrerai questi poveri rozzi versi del tuo defunto amico, confrontali con quel tempo ormai migliore, e, se anche saranno superati da ogni penna, conservali per amor mio, non per le loro rime, sovrastate dall’eccellenza d’uomini più fortunati. Oh, concedimi allora questo solo amoroso pensiero: “Fosse cresciuta col crescere dell’età la Musa del mio amico, parto più degno di questo il suo amore avrebbe generato, da star al passo dei ranghi meglio equipaggiati; ma poiché egli è morto, e i poeti si mostrano migliori, leggerò i loro versi per lo stile, i suoi per l’amore”.

033 − (lettore italiano Alba Rorhhrwacher) − Più di un glorioso mattino ho visto lusingare le vette dei monti con occhio sovrano, baciare con volto d’oro i verdi prati, indorare pallide correnti con alchimia divina; poi presto permettere alle nuvole più vili di cavalcare in orridi nembi sul suo volto celeste e nascondere al mondo derelitto il suo sembiante, fuggendo furtivo ad accidente senza più grazia. Così il mio sole rifulse una volta di primo mattino con pieno trionfale splendore sulla mia fronte; ma ahimè, andò via, e un’ora sola fu mio: nuvola più alta me l’ha ora nascosto. Ma lui, per questo, il mio amore non disdegna affatto: i soli del mondo possono macchiarsi, se il sole del cielo si macchia.

034 − (lettore italiano Lella Costa) − Perché mi promettesti una così bella giornata, facendomi viaggiare senza il mio mantello, per lasciare poi nuvole vili cogliermi in cammino, nascondendo la tua magnificenza nel loro lercio fumo? Non mi basta che tu irrompa tra le nuvole ad asciugar la pioggia sul mio volto battuto dalla tempesta, perché nessuno può lodare un balsamo che sana la ferita e non guarisce la disgrazia. Né può la tua vergogna mendicare la mia pena: anche se ti penti, a me la perdita resta. Il dolore di chi ha offeso offre scarso sollievo a chi della dura offesa porta la croce. Ah, ma sono perle quelle lacrime che il tuo amore versa, e sono ricche, e riscattano ogni cattiva azione.

035 − (lettore italiano Gabriele Vacis) − Non t’affliggere più per quello che hai fatto: le rose hanno spine e le argentee fonti fango, nuvole ed eclissi macchiano e luna e sole, e lo schifoso bruco vive nel bocciolo più dolce. Tutti commettono colpe, ed io stesso in questo modo, giustificando con paragoni la tua trasgressione, contaminando me stesso nel medicare il tuo malanno, scusando i tuoi peccati oltre la loro misura; perché alla tua colpa sensuale io porto senso, la tua parte avversa diventa il tuo avvocato , e contro me stesso intento causa legale. Tale è la guerra civile nel mio amore e odio che complice devo essere per forza di quel dolce ladro che amaramente mi deruba.

036 − (lettore italiano Alba Rorhhrwacher) − Ti confesso che noi due dobbiamo restar distinti, anche se i nostri indivisi amori sono uno. Così quelle macchie che pesano su di me, senza il tuo aiuto, le porterò da solo. Nei nostri due amori c’è un’unica devozione, ma nelle nostre vite uno scacco ci separa, che, pur non alterando l’unico effetto dell’amore, ruba tuttavia dolci ore alla delizia dell’amore. Io non potrò mai riconoscerti apertamente, perché la mia deplorata colpa ti recherebbe vergogna; né tu potrai onorarmi con pubblico favore, se non togliendo onore al tuo nome. Ma non farlo: io ti amo in tal modo che, essendo tu mio, mia è la tua buona reputazione.

037 − (lettore italiano Roberto Latini) − Come un padre decrepito prende diletto vedendo il suo svelto figlio fare atti di giovinezza, così io, storpiato dal durissimo dispetto della Fortuna, traggo ogni mio conforto dal tuo valore e onore; perché, siano bellezza, nascita, o ricchezza o intelligenza, o una di tutte queste, o tutte, o altre titolare a loro modo, a regnare incoronate in te, io innesto il mio amore in questo ceppo. Allora non sono storpio, povero, o spregiato, quando quest’ombra offre tale sostanza che nella tua abbondanza io mi soddisfo e vivo di una parte di tutta la tua gloria. Il meglio che ci sia, quel meglio lo desidero in te; questo desiderio l’ho io, dieci volte allora felice me.

038 − (lettore italiano Patricia Zanco) − Come può mancare alla mia Musa un soggetto da inventare, finché respiri tu, che versi nella mia poesia il tuo stesso dolce argomento, troppo eccellente perché qualsiasi foglio volgare lo ripeta? Oh, di’ grazie a te stesso se qualcosa di mio degno d’attenzione si mostra alla tua vista; perché chi è così muto da non sapere scriverti, quando tu stesso dai luce all’invenzione? Sii tu la decima Musa, dieci volte più degna di quelle vecchie nove che i rimatori invocano; e chi si richiama a te possa creare metri eterni, che vivono oltre la scadenza più distante. Se la mia esile Musa piacerà a quei giorni raffinati, mia sia la fatica, ma tua sarà la lode.

039 − (lettore italiano Ottavia Piccolo) − Oh, come posso con discrezione cantare il tuo valore, quando tu sei la miglior parte di me? Cosa può darmi la lode che mi faccio, e non è forse mia la lode quando lodo te? Proprio per questo dobbiamo vivere divisi, e il nostro caro amore perda il nome di uno solo, cosicché, con tale separazione, io possa dare a te il tuo dovuto, che solo tu meriti. Oh, assenza, quale tormento ti riveleresti se la tua amara libertà non mi desse dolce licenza d’intrattenere il tempo con pensieri d’amore, così ingannando dolcemente il tempo ed i pensieri, e se tu non m’insegnassi come dar di uno due, lodando lui qui, che di qui resta lontano.

040 − (lettore italiano Marta Cuscunà) − Prendi tutti i miei amori, amore, sì, prendili tutti, e cosa avrai di più di quanto avevi prima? Nessun amore, amore mio, che tu possa chiamare amore vero: tutto il mio era tuo prima che tu avessi questi in più. Se per amor mio, dunque, tu ricevi il mio amore, non posso biasimarti perché fai uso del mio amore; ma sii biasimato se inganni te stesso, assaggiando con ostinata voglia quel che tu stesso rifiuti. Ti perdono il tuo furto, ladro gentile, anche se tu mi rubi tutto il mio povero avere: eppure amore sa com’è più grande pena sopportare il torto dell’amore che non l’atteso insulto dell’odio. Grazia lasciva, dove ogni male si mostra bene, uccidimi di spregi, ma noi non dobbiamo essere nemici.

041 − (lettore italiano Luciano Virgilio) − Quei capricciosi torti che la libertà commette, quando talvolta mi assento dal tuo cuore, alla bellezza e agli anni tuoi si confanno perché la tentazione ti segue sempre dovunque tu sia. Gentile tu sei e perciò da conquistare; bello tu sei, e perciò da assalire; e quando donna corteggia, quale figlio di donna la lascerà rudemente prima di aver prevalso? Ahimè, ma potresti almeno non prenderti il mio posto, e sgridare la tua bellezza e la tua sbandata giovinezza che con le loro baldorie ti conducono proprio là dove sei costretto a rompere una doppia fedeltà: quella di lei, con la tua bellezza tentandola a te; la tua, per la tua bellezza essendo falso con me.

042 − (lettore italiano Arturo Cirillo) − Che tu abbia lei non è tutta la mia pena, eppure si può dire che la amavo caramente; che lei abbia te è mio maggior tormento, una perdita d’amore che mi tocca più da vicino. Innamorati traditori, così voglio scusarvi: tu ami lei perché sai che io la amo, e per amor mio, ugualmente, ella mi inganna, sopportando per amor mio che il mio amico la provi. Se io perdo te, la mia perdita la guadagna la mia amata, e, perdendo lei, l’amico mio quella perdita si trova; entrambi l’un l’altra vi trovate, ed io vi perdo entrambi, ed entrambi, per amor mio, m’imponete questa croce. Ma ecco la gioia: il mio amico ed io siamo tutt’uno. Dolce illusione! Ella non ama dunque, oltre me, nessuno.

043 − (lettore italiano Roberto Herlitzka) − Quando più chiudo gli occhi, allora meglio vedono, perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota; ma quando dormo, essi nei sogni scorgono te, e, oscuramente luminosi, sono luminosamente diretti nell’oscuro. Allora tu, la cui ombra le ombre illumina, quale spettacolo felice formerebbe la forma della tua ombra al chiaro giorno con la tua assai più chiara luce, quando ad occhi senza vista la tua ombra così splende! Quanto, dico, benedetti sarebbero i miei occhi, guardando a te nel giorno vivente, quando nella morta notte la tua bella ombra imperfetta, attraverso il greve sonno, su ciechi occhi posa! Tutti i giorni sono notti a vedersi, finché non vedo te, e le notti giorni luminosi, quando i sogni ti mostrano a me.

044 − (lettore italiano Filippo Dini) − Se l’ottusa sostanza della mia carne fosse pensiero, la malevola distanza non fermerebbe il mio cammino; perché, a dispetto dello spazio, verrei portato dai confini più remoti là dove ti trovi. Non importerebbe allora se il mio piede posasse sul più lontano suolo distante da te; perché l’agile pensiero balza oltre terra e mare nel tempo di pensare al luogo dove vorrebbe stare. Ma, ah, il pensiero m’uccide di non essere pensiero da saltar lunghe distese di miglia quando tu sei via, mentre, così composto di terra e di acqua, mi tocca aspettare nel mio lamento il comodo tempo, non ricevendo nulla da elementi così lenti, se non lacrime pesanti, emblemi del nostro dolore.

045 − (lettore italiano Maurizio Donadoni) − Gli altri due, l’aria leggera e il purificante fuoco, sono entrambi con te, dovunque io mi trovi: la prima il mio pensiero, l’altro il mio desiderio, presenti-assenti trascorrono via con veloce moto. Perché quando questi più rapidi elementi se ne vanno a te in dolce ambascerìa d’amore, la mia vita, fatta di quattro, con due soltanto sprofonda nella morte, oppressa dalla malinconia; fino a che la mistura della vita non sia ricomposta da quei veloci messaggeri che mi ritornano da te, e che proprio ora sono venuti, rassicurati della tua buona salute, a darmene notizia. Udito questo, io gioisco; ma poi, non più contento, di nuovo li rimando indietro, e subito sono triste.

046 − (lettore italiano Marco Foschi) − Il mio occhio e il mio cuore sono in guerra mortale su come spartirsi le spoglie della tua visione: il mio occhio vuol sbarrare al mio cuore la vista del tuo ritratto, il mio cuore al mio occhio il libero accesso a questo diritto; il mio cuore argomenta che tu risiedi in lui, scrigno mai penetrato da occhi cristallini; ma il contendente rifiuta questo argomento e dice che in lui dimora il tuo bell’aspetto. Per decidere su tale diritto, è insediata una giurìa di pensieri, tutti vassalli del cuore, e col loro verdetto viene determinata la porzione del chiaro occhio e la parte del caro cuore, in questo modo: spetta al mio occhio la tua parte esteriore, e diritto del mio cuore è l’intimo amore tuo.

047 − (lettore italiano Michele Sinisi) − Tra il mio occhio e il mio cuore è fatto un accordo e ognuno rende ora all’altro buoni servigi: quando il mio occhio è affamato d’uno sguardo, o il cuore innamorato soffoca nei sospiri, allora l’occhio si pasce del ritratto del mio amore e al dipinto banchetto invita il cuore; un’altra volta, il mio occhio è ospite del cuore e dei suoi pensieri d’amore condivide una parte. Così, o per il tuo ritratto o per il mio amore, sebbene lontano, tu sei sempre presente a me; perché muoverti non puoi più in là dei miei pensieri, ed io sto sempre con essi, ed essi con te; o se dormono, il tuo ritratto alla mia vista sveglia il mio cuore, per la delizia del cuore e dell’occhio.

048 − (lettore italiano Roberto Herlitzka) − Quanta cura presi, nel mettermi in cammino, di riporre ogni inezia dietro le sbarre più fidate, così che, per il mio uso, restasse non usata da mani disoneste, in celle ben sicure! Ma tu, al cui confronto i miei gioielli sono inezie, tu, mio conforto più prezioso, ora mia più grande pena, tu migliore d’ogni cosa più cara, e mio unico affanno, sei rimasto preda d’ogni ladro volgare. Te non ho serrato in uno scrigno, se non là dove non sei, pur se sento che ci sei, dentro al gentile recinto del mio petto, di dove a tuo piacere puoi venire e andare; e di lì appunto sarai rubato, io temo, perché la virtù si fa ladra per una preda così preziosa.

049 − (lettore italiano Filippo Dini) − Contro quel tempo – se mai verrà quel tempo – quando ti vedrò accigliato per i miei difetti, quando il tuo amore avrà gettato l’ultima sua somma, chiamato a tal bilancio da motivi ponderati; contro quel tempo, quando estraneo mi passerai accanto salutandomi a stento con il sole del tuo occhio, quando l’amore, mutato da com’era, troverà ragioni di profonda gravità; contro quel tempo io qui fortifico me stesso dentro la coscienza dei miei meriti, e questa mia mano contro me stesso levo a difendere le legittime ragioni della tua parte. Per lasciare questo povero me tu hai la forza delle leggi, mentre, perché tu mi ami, io non posso addurre alcun motivo.

050 − (lettore italiano Maria Guarnieri) − Come mi pesa viaggiare per la mia strada, se quel che cerco, la mèta del faticoso viaggio, fa solo dire a quel sollievo e a quel riposo: “tante miglia hai misurato lontano dal tuo amico”. La bestia che mi porta, stanca del mio dolore, arranca pigramente, sopportando il mio peso, come se per istinto la misera sapesse che il suo cavaliere non ama andar veloce via da te. Non riesce a stimolarla il sanguinoso sprone che talvolta la rabbia le affonda nella pelle, e a cui risponde con un lamento di dolore, per me più acuto che la spronata a lei nel fianco; perché quel lamento mi ricorda questo, che la pena m’è davanti, la gioia alle mie spalle.

051 − (lettore italiano Luciano Virgilio) − Così può scusare il mio amore la colpevole lentezza del mio pigro portatore, quando corro via da te: da dove ti trovi, perché dovrei andar via in fretta? Finché non ritorni, non c’è bisogno di galoppo. Oh, quale scusa troverà allora la mia povera bestia, quando la velocità più estrema non sembrerà che lenta? Allora darei di sprone pur se montassi il vento; in rapidità d’ali non scorgerò movimento. Allora nessun cavallo terrà il passo del mio desiderio; e quindi il desiderio, fatto del più perfetto amore, nitrirà, non tarda carne, nella sua infuocata corsa; ma l’amore amorevolmente scuserà così il mio ronzino: poiché, andando via da te, andò testardamente lento, verso di te io correrò, e lui lascerò andare come può.

052 − (lettore italiano Arturo Cirillo) − Così sono io come il ricco, che la benedetta chiave può portare al suo dolce tesoro rinserrato, che non ogni ora vorrà contemplare, per non smussare la punta delicata di un piacere infrequente. Perciò sono le feste così solenni e così rare, perché, ricorrendo di rado nel lungo giro dell’anno, come pietre preziose sono disposte sparsamente, o come i gioielli principali in un monile. Così il tempo che ti contiene è per me come uno scrigno, o il guardaroba che la sontuosa veste cela per fare un istante speciale specialmente benedetto, rivelando di nuovo il suo splendore imprigionato. Benedetto sei tu, il cui valore lascia campo, se uno ti ha, di trionfare, o, se tu manchi, di sperare.

053 − (lettore italiano Maurizio Donadoni) − Qual è la tua sostanza, di cosa sei fatto, che milioni di strane ombre ti fanno scorta? Perché ognuno ha, in quanto uno, un’ombra, e tu, sebbene uno, puoi gettare qualsiasi ombra. Mi si descriva Adone, e il suo ritratto è, di te, una povera imitazione; sulla guancia di Elena s’apponga ogni artificio di bellezza, e tu in greca acconciatura sei dipinto nuovamente. Si parli della primavera, e del raccolto dell’anno, e l’una mostra solo l’ombra della tua bellezza, l’altro appare come munificenza; e noi in ogni forma benedetta riconosciamo te. In ogni grazia esteriore tu hai qualche parte, ma a nessuno somigli, e nessuno a te, per costanza del cuore.

054 − (lettore italiano Michele Sinisi) − Oh, quanto più bella la bellezza sembra per il dolce ornamento che la virtù le dona! La rosa appare bella, ma più bella la stimiamo per il dolce odore che in essa vive. Le rose canine hanno lo stesso intenso colore delle rose dalla tinta che profuma, pendono su uguali spine e, come quelle, si dilettano lascive quando il fiato dell’estate schiude i loro bocci mascherati; ma, poiché la loro unica virtù sta nel mostrarsi, vivono non corteggiate, e trascurate appassiscono, e muoiono da sole. Così non è per le dolci rose: dalla loro dolce morte sono tratti dolcissimi profumi: così da te, giovane bello e leggiadro, quando svanirà la tua virtù, la poesia la distillerà ancora.

055 − (lettore italiano Marco Foschi) − Né il marmo né i dorati monumenti dei principi sopravvivranno a questa possente rima, ma, qui contenuto, tu splenderai più luminoso che pietra non spazzata, insozzata dal lurido tempo. Quando la guerra devastatrice rovescerà le statue e i tumulti sradicheranno le muraglie, né la spada di Marte né il convulso fuoco della guerra bruceranno la vivente testimonianza della tua memoria. Contro la morte ed ogni nemica dimenticanza tu incederai, e la tua lode troverà sempre spazio agli occhi di tutte le età future che consumeranno questo mondo fino all’estrema sorte. Così fino al Giudizio, quando tu stesso risorgerai, tu vivi in questa poesia, e dimori negli occhi degli amanti.

056 − (lettore italiano Manuela Mandracchia) − Dolce amore, rinnova la tua forza; non sia detto che il tuo filo sia più smussato dell’appetito, che, per oggi, il nutrimento ha calmato, ma che s’acuirà domani col medesimo vigore. Così sii tu, amore; se pure oggi ti riempi gli occhi affamati finché non si chiudano sazi, domani guarda di nuovo, e non uccidere lo spirito d’amore con perpetua ottusità. Lascia che questo triste intervallo sia come l’oceano che separa le coste, dove due appena promessi si affaccino ogni giorno, perché, vedendo un ritorno d’amore, più felice sia la loro vista; oppure chiamalo inverno, che, pieno d’affanni, fa l’estate benvenuta, assai più desiderata, più rara.

057 − (lettore italiano Anna Maria Guarnieri) − Essendo tuo schiavo, che altro posso fare se non servire le ore e i tempi del tuo desiderio? Non ho tempo prezioso da spendere di mio, né servigi da rendere, finché tu non li richieda. Né oso rimproverar quell’ora, secoli dei secoli, quando, o mio sovrano, guardo l’orologio in tua attesa, né pensare l’amarezza dell’aspra assenza, una volta che al tuo servo hai detto addio. Né oso domandarmi con pensieri gelosi dove tu sia, né far supposizioni sui tuoi affari, ma come un triste schiavo me ne sto e a nulla penso se non a dove sei, a quanto fai felici quegli altri. L’amore è un tale autentico buffone, che delle tue voglie, qualunque cosa tu faccia, non pensa alcun male.

058 − (lettore italiano Manuela Mandracchia) − Quel dio non voglia, che per primo mi fece tuo schiavo che col pensiero io controlli i tuoi tempi di piacere o dalla tua mano implori il resoconto delle ore, essendo tuo vassallo, legato al tuo comodo. Oh, lasciami soffrire, poiché sto al tuo comando, l’assenza della tua libertà che m’imprigiona, e, mite come la pazienza, lasciami sopportare ogni colpo, senza accusarti di alcun torto. Sta’ dove ti piace, la carta dei tuoi diritti è così forte che puoi conceder privilegi al tuo tempo come più ti aggrada; e a te solo spetta di perdonare te stesso per le tue colpe contro te stesso. A me tocca aspettare, pur se l’attesa sia un inferno, non biasimare il tuo piacere, sia esso male o bene.

059 − (lettore italiano Manuela Mandracchia) − Se di nuovo non c’è nulla, ma ciò che è è già stato prima, come s’inganna la nostra mente, che, nel travaglio dell’invenzione, abortisce il secondo fardello di un bambino già nato! Oh, se il ricordo potesse, con uno sguardo indietro, esattamente di cinquecento giri del sole, mostrarmi la tua immagine in qualche libro antico, di quando per la prima volta fu scritta in caratteri la mente, così che io vedessi che cosa il vecchio mondo seppe dire di fronte alla equilibrata meraviglia della tua figura; e se noi abbiamo progredito, o se migliori erano loro, o se il ricorrere dei tempi sia la stessa cosa. Oh, io sono certo che gli ingegni dei passati giorni a soggetti peggiori tributarono lode e ammirazione.

060 − (lettore italiano Paolo Mazzarelli) − Come incalzano le onde verso la spiaggia ciottolosa, così i nostri minuti s’affrettano alla loro fine, ciascuno cambiando posto con quello che lo precede, e in affannosa sequela tutti s’accalcano in avanti. La nascita, appena nel mare della luce, striscia verso la maturità, e quando ne è coronata contorte eclissi combattono contro la sua gloria, e il Tempo che diede distrugge ora il suo dono. Il Tempo trafigge la fiorita tinta che alla giovinezza è apposta e scava parallele sulla fronte della bellezza, si nutre delle perfette rarità della natura, e nulla sta in piedi se non per la sua falce che lo miete. E tuttavia contro i tempi futuri starà la mia poesia, lodando il tuo valore, a dispetto della sua mano crudele.

061 − (lettore italiano Anna Maria Guarnieri) − E’ per tuo volere che la tua immagine tiene aperte le mie palpebre pesanti sull’affaticata notte? Sei tu che desideri che i miei sonni siano rotti, mentre ombre simili a te mi ingannano la vista? E’ il tuo spirito che mandi via da te così lontano dalla sua dimora per spiare i miei atti, e scoprire in me vergogne ed ore vane, bersaglio e fondamento della tua gelosia? Oh no, il tuo amore, sebbene tanto, non è così grande; è il mio amore che tiene svegli i miei occhi, il mio sincero amore che sconfigge il mio riposo, facendo il guardiano notturno in tuo favore. Per te io veglio, mentre tu fai veglia altrove, da me molto lontano, ad altri fin troppo vicino.

062 − (lettore italiano Michele Sinisi) − Peccato di amor proprio possiede il mio occhio e tutta la mia anima, ed ogni altra mia parte; e per questo peccato non esiste rimedio, radicato com’è dentro il mio cuore. Nessun volto mi sembra aggraziato come il mio, nessuna forma così vera, nessuna verità di uguale pregio, e da me stesso determino il mio valore, poiché tutti gli altri in ogni valore io sovrasto. Ma quando il mio specchio mi mostra come sono davvero, sbattuto e raggrinzito dalla malconcia vecchiaia, il mio amor proprio leggo all’incontrario: l’io che si ami in tal modo sarebbe iniquo. Sei tu, me stesso, che per me stesso io lodo, dipingendo la mia età con la bellezza dei tuoi giorni.

063 − (lettore italiano Paolo Mazzarelli) − Contro quel tempo, quando il mio amore sarà come io sono ora, dalla mano oltraggiosa del Tempo sgualcìto e consunto, quando le ore avranno prosciugato il suo sangue e riempito la sua fronte di linee e di rughe, quando il suo giovane mattino avrà viaggiato fin nella precipitosa notte dell’età, e tutte quelle bellezze di cui ora è re staranno svanendo o saranno svanite dalla vista, involandosi il tesoro della sua primavera; per quel tempo io mi fortifico adesso contro il crudele coltello dell’età distruttrice, perché non possa mai tagliare dalla memoria la bellezza del mio dolce amore, anche se ne taglierà la vita. La sua bellezza in questi neri versi sarà veduta, ed essi vivranno, e lui in essi sempre verde.

064 − (lettore italiano Roberto Herlitzka) − Quando dalla mano spietata del Tempo ho visto sfigurato il ricco superbo sfarzo di età consumate e sepolte, quando talvolta sublimi torri vedo rase al suolo, e il bronzo eterno schiavo del mortale furore; quando ho visto l’oceano affamato conquistare vantaggio sul regno delle spiagge, e la terraferma vincere sulla distesa delle acque, accrescendo possesso con perdita e perdita con possesso; quando ho visto un simile avvicendamento di stato, o lo stesso stato delle cose rovinato e decaduto, la rovina mi ha insegnato così a rimuginare, che il Tempo verrà e porterà via il mio amore. Questo pensiero è come una morte, che altro non può che piangere di avere ciò che teme di perdere.

065 − (lettore italiano Paolo Mazzarelli) − Poiché non v’è bronzo, né pietra, né terra, né sconfinato mare, che la triste mortalità non ne soggioghi il potere, come potrà contro tale furore offrire una difesa la bellezza, che per agire non ha più forza di un fiore? Oh, come potrà il profumo di miele dell’estate reggere contro il rovinoso assedio dei battenti giorni, quando rocche inespugnabili non sono così salde, né porte d’acciaio così forti che il tempo non le abbatta? Oh, paurosa meditazione! dove, ahimè, potrà sfuggire al forziere del Tempo il miglior gioiello del Tempo? O quale forte mano tratterrà indietro il suo piede veloce, o chi il suo saccheggio di bellezza potrà proibire? Oh, nessuno, se potere non avrà questo miracolo, che in nero inchiostro il mio amore possa sempre splendere luminoso.

066 − (lettore italiano Glauco Mauro) − Stanco di tutto questo, invoco la riposante morte, quando vedo il merito nascere mendicante, e la povera nullità tutta agghindata, e la più pura fede miseramente abiurata, e il dorato onore vergognosamente male attribuito, e la virtù verginale brutalmente prostituita, e la giusta perfezione ingiustamente screditata, e la forza invalidata dal potere zoppicante, e l’arte imbavagliata dalla autorità, e la follia, con aria dotta, mettere freno all’estro, e la semplice verità calunniata come faciloneria, e il bene prigioniero servire il male capitàno. Stanco di tutto questo, da questo vorrei andar lontano, se non che, morendo, lascerei solo il mio amore.

067 − (lettore italiano Stefano Accorsi) − Ah, perché dovrebbe egli vivere nell’infezione e, con la sua presenza, dar grazie all’empietà, così che il peccato tragga da lui vantaggio e si adorni della sua compagnia? Perché dovrebbe la falsa pittura imitare la sua guancia e rubare al suo vivo incarnato una morta riproduzione? Perché dovrebbe la povera bellezza con modi indiretti cercare ombre di rose, quando la sua rosa è vera? Perché dovrebbe egli vivere ora che la Natura ha fatto bancarotta e mendica sangue che avvampi in vive vene, giacché non ha ora altro erario che il suo, e, pur fiera di molti, vive solo dei suoi guadagni? Oh, essa lo tiene in serbo, per mostrar che ricchezza avesse nei giorni antichi, prima di questi così cattivi.

068 − (lettore italiano Arturo Cirillo) − Così è la sua guancia la mappa dei giorni consumati, quando la bellezza viveva e moriva come ora i fiori, prima che questi bastardi segni di avvenenza fossero inventati o osassero abitare sopra un vivo volto; prima che le dorate trecce delle morte, retaggio dei sepolcri, fossero recise per vivere una seconda vita su una seconda testa, prima che il morto vello della bellezza fosse sfoggiato da altri. In lui quelle sacre antiche ore si possono vedere, senza alcun ornamento, autentiche e vere, non facendo dell’altrui verde la propria estate, non derubando la bellezza passata per vestire la propria a nuovo; e lui, come mappa, la Natura tiene in serbo, per mostrare alla falsa Arte qual era la bellezza d’una volta.

069 − (lettore italiano Arturo Cirillo) − Quelle parti di te che l’occhio del mondo vede non han difetto alcuno che il pensiero del cuore possa emendare; ogni lingua, voce dell’anima, ti dà quel che ti è dovuto, esprimendo la nuda verità, come fa l’elogio di un nemico. Il tuo aspetto esteriore è da esteriore lode coronato; ma quelle stesse lingue, che così ti danno il tuo, con altri accenti confondono questa lode, vedendo più in là di quanto l’occhio mostra. Scrutano la bellezza della tua mente e, per indovinarla, la misurano dai tuoi atti; spilorci, dunque, i loro pensieri (pur se gli occhi erano generosi) − al tuo bel fiore aggiungono il rancido fetore delle erbacce. Ma perché il tuo odore non si adegua alla tua apparenza, la spiegazione è questa, che diventi volgare.

070 − (lettore italiano Ottavia Piccolo) − Che tu sia biasimato non sarà tua colpa, perché bersaglio di calunnia fu sempre la bellezza; l’ornamento della bellezza è il sospetto, corvo che vola nella più dolce aria del cielo. Se tu sei buono, la calunnia non fa che lodarti -maggior valore han quelli che il tempo corteggia , perché come un bruco il vizio ama i boccioli più dolci, e tu presenti una pura primavera senza macchia. Tu sei sfuggito agli agguati dei giovani giorni, perché non assalito, o vincitore ad ogni attacco; ma questo tuo merito non sarà così grande da incatenare l’invidia, che sempre si frena. Se un sospetto di male non mascherasse la tua apparenza, allora saresti il solo signore dei regni dei cuori.

071 − (lettore italiano Glauco Mauri) − Più a lungo non piangermi, quando sarò morto, del tempo che udrai la terra lugubre campana avvertire il mondo che io sono fuggito da questo vile mondo ad abitare con i più vili vermi. Anzi, se leggerai questi versi, non ricordare la mano che li scrisse, perché io ti amo tanto che dai tuoi dolci pensieri vorrei essere dimenticato, se pensare a me allora dovesse addolorarti. Oh se, dico, il tuo sguardo cadrà su questi versi, quando io, forse, sarò mescolato con l’argilla, non arrivar nemmeno a ripetere il povero mio nome, ma lascia il tuo amore finire con la mia stessa vita; perché il saggio mondo non guardi dentro al tuo lamento e non ti schernisca per me dopo che me ne sarò andato.

072 − (lettore italiano Giuliana Musso) − Oh, perché il mondo non t’imponga di riferire Quale merito vivesse in me che tu dovessi amare dopo la mia morte, caro amore, dimenticami del tutto, a meno che non voglia inventare virtuose menzogne per concedermi più del mio vero merito e apporre maggiore elogio su di me defunto di quello che l’avara verità sarebbe disposta a darmi. Oh, perché il tuo vero amore non sembri falso in questo, che per amore tu parli bene di me non veramente, il mio nome sia sepolto lì dove sarà il mio corpo, e non viva oltre per recar vergogna a me o a te; perché io mi vergogno di quello che produco, e così dovresti tu, se amassi cose non degne.

073 − (lettore italiano Roberto Latini) − Quel tempo dell’anno tu puoi vedere in me, quando gialle foglie, o nessuna, o poche, pendono dei rami tremanti contro il freddo, nudi cori in rovina, dove prima cantavano i dolci uccelli. In me vedi il crepuscolo di un giorno, come dopo il tramonto impallidisce ad occidente, e che ben presto si porta via la nera notte, secondo volto della morte che sigilla tutto nel riposo. In me vedi il baluginare di un fuoco, che giace sulle ceneri della sua giovinezza come sul letto di morte sul quale deve spirare, consumato da ciò di cui si era nutrito. Questo tu percepisci, che fa il tuo amore più forte, così da amare appieno chi devi lasciare presto.

074 − (lettore italiano Lella Costa) − Ma datti pace quando quel crudele arresto senza alcuna cauzione mi porterà via; la mia vita ha qualche diritto su questa poesia, che sempre con te resterà a mia memoria. Quando la rileggerai, rivedrai la parte di me che fu consacrata a te: la terra può ricever solo terra, ciò che le è dovuto, ma il mio spirito è tuo, ed è di me la miglior parte. Allora non avrai perduto che la feccia della vita, la preda dei vermi, il mio corpo morto, il vigliacco bottino del coltello di uno sciagurato, troppo vile per essere da te ricordato. Il valore di quel corpo è ciò che esso contiene, e ciò è questa poesia, e questa con te rimane.

075 − (lettore italiano Mirko Artuso) − Così come tu sei ai miei pensieri come alla vita il cibo, o come rovesci di dolci stagioni alla terra; e per la tua pace io sostengo tale lotta quale tra l’avaro e i suoi ricchi averi: ora esultate nel goderne, e poi subito timoroso che quest’epoca ladra gli rubi il suo tesoro; ora calcolando che il meglio sia lo star solo con te, poi ancora meglio che il tuo mondo veda il mio piacere; talvolta sazio di banchettare della tua vista, e poi subito affamato di uno sguardo; possedendo o inseguendo solo il diletto che ho già avuto o che avrò da te. Così languisco e mi sazio, giorno dopo giorno, o divorando tutto, o di tutto privo.

076 − (lettore italiano Gabriele Vacis) − Perché è il mio verso è così spoglio di nuovo sfarzo, così lontano da variazioni o improvvisi mutamenti? Perché, come fa ora il mondo, non volgo l’occhio a metodi appena scoperti e a composti strani? Perché scrivo una sola cosa, sempre lo stesso, e mantengo l’invenzione nella veste consueta, cosicché ogni parola quasi dice il mio nome, mostrando la sua nascita e la sua istruzione? Oh, sappi, dolce amore, che sempre di te io scrivo, e tu e l’amore siete sempre il mio argomento; cosi il meglio che so fare è vestir vecchie parole a nuovo, spendendo nuovamente quel che già è stato speso; perché, come il sole è ogni giorno nuovo e vecchio, così è il mio amore, che sempre dice ciò che è stato detto.

077 − (lettore italiano Ottavia Piccolo) − Ti mostrerà il tuo specchio svanir le tue bellezze, la tua meridiana consumarsi i preziosi tuoi minuti, i vuoti fogli recheranno l’impronta della tua mente, e da questo libro assaggerai questo insegnamento: le rughe che lo specchio ti mostrerà veracemente ti ricorderanno tombe aperte come bocche; dal trafugare dell’ombra sulla meridiana potrai capire il furtivo avanzare del tempo verso l’eternità. Ciò che la tua memoria non può contenere affidalo a questi fogli bianchi, e vedrai i figli nati dal tuo cervello, una volta allevati, far nuova conoscenza con la tua mente. Questi riti, spesso compiuti con lo sguardo, ti gioveranno, e arricchiranno molto il tuo libro.



078 − (lettore italiano Andrea Pennacchi) − Così spesso ti ho invocato come mia Musa, e così bel sostegno ho trovato nel mio verso, che ogni penna estranea mi ha imitato e al tuo servizio sparpaglia le sue rime. I tuoi occhi, che insegnarono ai muti l’elevato canto e alla greve ignoranza l’alto volo, hanno aggiunto penne all’ala dei sapienti e dato alla grazia una doppia maestà. Ma sii più fiero di ciò che io compilo, su cui l’influsso è tuo, e che da te nasce: nelle opere di altri tu migliori solo lo stile, e arti dalle tue dolci grazie vengano aggraziate; ma tu sei tutta la mia arte, e innalzi nell’alto del sapere la rozza mia ignoranza.

079 − (lettore italiano Gabriele Vacis) − Finché io solo invocai il tuo aiuto, solo il mio verso ebbe ogni tua gentile grazia; ma ora i miei aggraziati metri sono decaduti e la mia Musa malata cede il posto a un altro. Ammetto, dolce amore, che il tuo amabile argomento Merita il travaglio di una penna più degna, ma quel che di te il tuo poeta inventa, lo ruba a te, e a te lo paga nuovamente; ti conferisce virtù, e tale parola l’ha rubata al tuo contegno; bellezza di dà, e l’ha trovata nel tuo volto: non può offrirti altra lode se non quella che in te già vive. Non ringraziarlo dunque per quello che dice, perché ciò che ti deve sei tu a pagarlo.

080 − (lettore italiano Alba Rorhrwacher) − Oh, come mi mancano le forze quando di te scrivo, sapendo che uno spirito migliore usa il tuo nome, e, nella lode che ne fa, spende tutti il suo potere per legarmi la lingua nel parlare della tua fama. Ma poiché il tuo merito, vasto com’è l’oceano, l’umile vela regge come la più superba, la mia avventata barca, alla sua tanto inferiore, sull’ampia tua distesa puntigliosamente appare. Il tuo meno profondo appoggio mi terrà a galla, mentre lui veleggia sul tuo insondato abisso; o, se faccio naufragio, io sono un battello dappoco, e lui uno d’alto scafo e di gran pompa. Se allora lui avrà fortuna e io sarò rovesciato, il peggio sarà stato questo: il mio amore fu la mia rovina.

081 − (lettore italiano Tommaso Ragno) − Sia che io viva per fare il tuo epitaffio o tu sopravviva quando nella terra sarò marcio, di qui la morte non potrà levare la tua memoria, pur se di me ogni parte sarà dimenticata. Il tuo nome avrà di qui vita immortale, anche se, una volta andato, io morirò al mondo intero; a me la terra può concedere solo una comune fossa, mentre tu negli occhi degli uomini avrai la tua tomba; il tuo monumento sarà il mio verso gentile, che occhi non ancora creati leggeranno, e lingue future reciteranno il tuo essere, quando ognuno che ora respira nel mondo sarà morto, tu tuttavia vivrai – tale virtù ha la mia penna – dove più il respiro spira, proprio nelle bocche degli uomini.

082 − (lettore italiano Tommaso Ragno) − Ammetto che non t’eri sposato alla mia Musa, e puoi perciò senza vergogna gettar lo sguardo sulle devote parole che gli scrittori usano per il loro bel soggetto, da cui ogni libro è benedetto. Tu sei bello nella coscienza che hai di te come nel tuo aspetto, perché trovi che il tuo valore ha confini più vasti del mio elogio, e sei perciò costretto a cercare daccapo qualche più fresco stampo di questi sempre più raffinati giorni. E fallo, amore; ma quando quelli avranno escogitato i tocchi più forzati che la retorica può offrire, tu, veramente bello, sarai veramente raffigurato in vere semplici parole dal tuo veritiero amico. E la loro vistosa pittura meglio sarebbe usata per guance cui manca il sangue: su di te è male applicata.

083 − (lettore italiano Tommaso Ragno) − Non mi accorsi mai che ti occorresse trucco, e perciò alla tua bellezza non apposi trucco; trovavo, o credevo di trovare, che tu fossi al di sopra dell’infruttuosa offerta che t’è dovuta da un poeta; e perciò sono stato lento a cantare le tue lodi, perché tu stesso, vivo e presente, potessi mostrare fino a che punto una comune penna sia oggi inadeguata, parlando di valore, a dire il valore che in te fiorisce. Questo silenzio come mio peccato m’imputasti, ma sarà mia maggior gloria il restare muto, perché non danneggio la bellezza restando zitto, mentre altri vorrebbero dar vita, e creano una tomba. Vive più vita in uno dei tuoi begli occhi di quanta entrambi i tuoi poeti possano in tua lode inventare.

084 − (lettore italiano Tommaso Ragno) − Chi è che dice tutto il più, che possa dir di più di questa ricca lode, che tu solo sei tu, nei cui confini è murato il ceppo esemplare che dovrebbe indicare dove mai crebbe uno a te uguale? Sparuta penuria abita in quella penna che al suo soggetto non presti gloria alcuna; ma colui che di te scrive, se sa dire che tu sei tu, in tal modo illustra la sua storia. Che solo copii ciò che in te è scritto, non peggiorando ciò che la natura fece così chiaro, e tale riproduzione darà fama al suo ingegno, rendendo il suo stile dovunque ammirato. Tu alle tue belle doti aggiungi una maledizione, perché sei avido di lodi, e ciò peggiora le tue lodi.

085 − (lettore italiano Tommaso Ragno) − Impedita nella lingua tace per ritegno la mia Musa, mentre trattati di tue lodi, riccamente compilati, serbano la loro scrittura di penna dorata e preziosi fraseggi limati da tutte le muse. Io penso bei pensieri, mentre altri scrivono belle parole, e, da chierico illetterato, rispondo sempre “Amen” ad ogni inno che quel capace spirito produce in polita forma di ben raffinata penna. Sentendoti lodare, io dico: “E’ così, è vero”, e alla più alta lode aggiungo qualcos’altro, ma solo nel mio pensiero, il cui amore per te (anche se ultime vengon le parole) − resta in prima fila. Gli altri, allora, rispetta per il fiato delle parole, me per i miei pensieri muti, che parlano nei fatti.

086 − (lettore italiano Tommaso Ragno) − Fu la gonfia vela superba del suo grande verso, vòlta a far saccheggio di te, più che prezioso, a seppellire i miei maturi pensieri nel mio cervello, facendo una tomba del ventre in cui erano cresciuti? Fu il suo spirito, da spiriti istruito a scrivere oltre ogni altezza mortale, che mi colpì a morte? No, né lui, né i suoi compare che di notte gli danno aiuto, hanno stordito il mio verso. Né lui né quell’affabile fantasma a lui familiare, che nottetempo lo gabba con segrete informazioni, possono vantarsi di avermi vinto al mio silenzio; da quella parte non mi assaliva paura alcuna. Ma quando il tuo favore riempì il suo verso, allora mi mancò materia, e s’infiacchì il mio.

087 − (lettore italiano Tommaso Ragno) − Addio, sei troppo prezioso perché io ti possegga, e assai probabilmente tu conosci la tua stima; la carta dei tuoi pregi ti consente d’affrancarti; i miei titoli su di te sono tutti scaduti. Perché come ti tengo se non per tua concessione, e di tale ricchezza dov’è il mio merito? Ragione di questo bel dono in me manca, e così il mio diritto si sperde e a te si rende. Tu desti te stesso, ignorando allora i tuoi pregi, o me, a cui ti desti, prendendo per un altro; così il tuo gran dono, cresciuto su un malinteso, se ne ritorna a casa, ora che tu giudichi meglio. Ti ho avuto, quindi, come un sogno che lusinga: nel sonno un re, ma al risveglio tutt’altro.

088 − (lettore italiano Massimo Popolizio) − Quando t’aggraderà tenermi in poco conto d esporre il mio merito all’occhio dello scorno, al tuo fianco mi batterò contro me stesso e ti dimostrerò virtuoso, anche se sarai spergiuro. Della mia debolezza meglio a conoscenza, a tuo favore posso deporre una storia di celate colpe, di cui mi sono macchiato, cosicché, nel perdere me, tu otterrai gran gloria; e anch’io ne ricaverò un guadagno, perché, volgendo a te ogni amorevole pensiero, gli oltraggi che farò a me stesso, recando vantaggio a te, daranno a me doppio vantaggio. Tale è il mio amore, a te così appartengo, che per il tuo diritto sopporterò ogni torto.

089 − (lettore italiano Massimo Popolizio) − Di’ che mi hai lasciato per qualche mia colpa ed io aggiungerò commenti a tale torto; di’ che sono zoppo, e subito claudicherò, contro le tue ragioni non opponendo difesa alcuna. Tu non potrai, amore, screditarmi peggio, per dare una bella forma al cambiamento che desideri, di quanto mi screditerò da me, sapendo quel che vuoi; strangolerò l’amicizia e mi mostrerò estraneo, mi assenterò da dove passeggi, e sulla mia lingua il tuo dolce e amato nome non avrà più dimora, perché io, troppo profano, non gli faccia torto, e non racconti per caso della nostra vecchia amicizia. Per te, contro me stesso dichiarerò guerra, perché mai dovrò amare chi tu hai in odio.

090 − (lettore italiano Sonia Bergamasco) − Odiami, allora, quando vorrai, e, se mai vorrai, ora, ora che il mondo è intento ad avversare ogni mio atto, allèati al dispetto della Fortuna, fammi piegare, e non piombarmi addosso per perdita ulteriore. Ah, quando il mio cuore sarà scampato a questo mio dolore, non sopraggiungere nella retroguardia d’una pena già vinta; non far seguire a una notte di vento un mattino di pioggia, per procrastinare una disfatta già decisa. Se vuoi lasciarmi, non lasciarmi da ultimo, quando altri piccoli affanni mi avranno fatto dispetto, ma vieni al primo assalto; così assaggerò fin dall’inizio tutto il peggio che può la Fortuna, e altre specie di dolore, che ora sembrano dolore, paragonate alla tua perdita, più non sembreranno tali.

091 − (lettore italiano Francesco Spaziani) − Chi si gloria della nascita, chi dell’ingegno, chi della ricchezza, chi della forza del corpo, chi delle vesti, pur se brutta moda recente, chi di falchi e levrieri, chi di cavalli; e ogni temperamento ha il suo piacere corrispondente, dove trova una gioia superiore ad ogni altra. Ma questi particolari non sono a mia misura; io tutti li miglioro in un generale meglio. Il tuo amore è per me migliore che nobili natali, più ricco della ricchezza, più superbo di vesti sfarzose, di maggior diletto che falchi o cavalli; e, avendo te, io mi glorio del vanto di tutti: misero solo in questo, che tu puoi prenderti tutto quanto via, e rendermi miserrimo.

092 − (lettore italiano Daria De Florian) − Ma fa’ pure del tuo peggio per sottrarti a me, per la durata della vita tu sei impegnato come mio, e la vita non durerà più a lungo del tuo amore, poiché essa dipende da quel tuo amore. Non ho da temere, allora, il peggiore dei torti, quando nel minore di essi la mia vita ha fine. Vedo che un miglior stato mi appartiene che quello che dipende dal tuo umore. Tu non puoi angustiarmi con la tua mente incostante, perché la mia vita dipende dal tuo rivoltarti. Oh quale titolo di felicità io trovo, felice di avere il tuo amore, felice di morire! Ma cosa è tanto felice e bello da non temere macchia? Tu puoi essere falso, e tuttavia io posso non saperlo.

093 − (lettore italiano Daria De Florian) − Così dovrò vivere, supponendoti fedele, come un marito ingannato, in modo che il volto dell’amore possa ancora sembrarmi amore, anche se appena trasformato: i tuoi sguardi con me, il tuo cuore in altro luogo. Poiché nessun odio può vivere nei tuoi occhi, da quelli non posso conoscere il tuo mutamento. Nell’aspetto di molti la storia falsa del cuore è scritta in umori e cipigli e strane rughe; ma, nel crearti, il cielo decretò che sul tuo volto il dolce amore dimorasse sempre, e che quali che fossero i tuoi pensieri i i moti del tuo cuore, i tuoi sguardi non esprimessero altro che dolcezza. Quanto simile alla mela di Eva diventa la tua bellezza, se la tua dolce virtù non corrisponde all’apparenza!

094 − (lettore italiano Galatea Ranzi) − Coloro che hanno il potere di ferire e non lo fanno, che non fanno la cosa che più traspare in loro, che, muovendo gli altri, sono in se stessi come pietra, non smossi, freddi, e davanti alla tentazione lenti – giustamente essi ereditano le grazie del cielo e le ricchezze della natura guardano dallo spreco; essi sono i signori e i padroni dei loro volti, gli altri solo i guardiani della loro eccellenza. Il fiore dell’estate è dolce all’estate, anche se per sé soltanto vive e muore; ma se quel fiore è colto da una vile infezione, l’erba più vile lo sovrasta in dignità; perché le cose più dolci diventano le più aspre con i loro atti: gigli che marciscono puzzano assai peggio che erbacce.

095 − (lettore italiano Paola Pitagora) − Quanto dolce e amabile sai rendere la vergogna, che, come un bruco nella rosa fragrante, intacca la bellezza del tuo nome in boccio! Oh, in quali dolcezze racchiudi i tuoi peccati! La lingua che narri la storia dei tuoi giorni, lascivamente commentando i tuoi svaghi, non può recarti spregio, ma con qualche pregio, nominando il tuo nome, benedice la maldicenza. Oh, quale dimora posseggono quei vizi che per loro abitazione hanno scelto te, dove il velo della bellezza copre ogni macchia e volge tutto in grazia, tutto ciò che l’occhio può vedere! Sta’ attento, dolce cuore, a questo grande privilegio: il più affilato coltello, male usato, perde il suo taglio.

096 − (lettore italiano Enrica Rosso) − Chi dice che la tua colpa è la giovinezza, chi la licenza, chi dice che la tua grazia è la giovinezza ed il gentile svago; sia grazia che colpe son gradite da umili e da grandi; tu volgi in grazie le colpe che ti frequentano. Come sul dito di una regina in trono Il gioiello più vile sarà stimato bello, così gli errori, che si vedono in te, sono trasformati in virtù e ritenuti giusti. Quanti agnelli ingannerebbe il crudele lupo se in agnello potesse volger l’aspetto! Quanti ammiratori potresti traviare se volessi usare tutta la forza del tuo rango! Ma non farlo: io ti amo in tal modo che, essendo tu mio, mio è il tuo buon nome.

097 − (lettore italiano Galatea Ranzi) − Quanto simile a un inverno è stata la mia assenza da te, il piacere dell’anno fuggitivo! Che geli ho sentito, che oscuri giorni ho visto! Quale di vecchio Dicembre nudità dovunque! Eppure questo tempo distante era un tempo d’estate, il fecondo autunno pregno di ricca prole che generava il fardello lascivo della primavera, come vedono ventre dopo la morte del suo signore. Tuttavia, questa abbondante progenie a me sembrava solo speranza di orfani, e frutto senza padre; perché l’estate e i suoi piaceri a te fanno scorta, e, a te lontano, gli stessi uccelli stanno muti; o se cantano, è con così tetro umore che impallidiscono le foglie, temendo l’inverno vicino.

098 − (lettore italiano Paola Pitagora) − Sono stato lontano da te in primavera, quando il superbo Aprile variopinto, tutto vestito a festa, uno spirito di giovinezza ha appena messo in ogni cosa, cosicché il greve Saturno rideva e saltava con lui. Tuttavia, né i canti degli uccelli, né il dolce odore dei differenti fiori nel profumo e nel colore, seppero indurmi ad un canto d’estate o a cogliere quei fiori dal loro grembo rigoglioso; né io ammirai il bianco del giglio, né apprezzai il profondo vermiglio nella rosa: erano solo dolcezze, solo figure di delizia, ritratte su di te, modello tu di tutte. Tuttavia sembrava inverno ancora, e, te lontano, come con la tua ombra io giocai con loro.

099 − (lettore italiano Sonia Bergamasco) − La precoce viola io così rimproverai: dolce ladra, di dove hai rubato la tua dolcezza che profuma se non dal fiato del mio amore? Il purpureo splendore che dimora sulla tua morbida gota e la colora, nelle vene del mio amore troppo vistosamente hai intinto. Il giglio io condannai per aver copiato la tua mano; e i bocci della maggiorana avevano rubato i tuoi capelli; le rose, timorose, se ne stavano sulle spine, una, rossa vergogna, un’altra, bianca disperazione; una terza, né rossa né bianca, aveva derubato entrambe, e alla sua rapina aveva aggiunto il tuo respiro, ma per quel furto, nella piena sua crescita superba, un bruco vendicativo se la mangiò e l’uccise. Altri fiori osservai, eppure non potei vederne alcuno che la dolcezza o il colore non avesse rubato a te.

100 − (lettore italiano Ermanna Montanari) − Dove sei, o Musa, che da tanto dimentichi di parlare di ciò che ti dà tutto il potere? Sprechi il tuo furore in qualche indegno canto, oscurando la tua forza per dar luce a soggetti vili? Ritorna, Musa smemorata, e subito redimi con metri gentili il tempo così vanamente speso; canta a quell’orecchio che le tue canzoni apprezza e dà alla tua penna maestrìa ed argomento. Lèvati, Musa indolente, e il dolce volto del mio amore osserva, se il Tempo vi abbia inciso qualche ruga; se pure una sola, satireggia il decadimento, e i saccheggi del Tempo rendi ovunque abietti. Da’ fama al mio amore più in fretta del Tempo che ne guasta la vita: così tu previeni la sua falce, la sua ricurva lama.

101 − (lettore italiano Orsetta De Rossi) − O oziosa Musa, quale sarà la tua ammenda Per aver dimenticato la verità intinta nella bellezza? Sia verità che bellezza dipendono dal mio amore; e lo stesso è per te, e in ciò sta la tua dignità. Rispondi, Musa, non vorrai per caso dire: “La verità non ha bisogno di colori, fissata com’è nel suo, né la bellezza di pennello, che ne pitturi la verità; ma il meglio è il meglio, se non è mischiato ad altro”? Poiché egli non ha bisogno di lode, sarai tu muta? Non scusare così il tuo silenzio, perché da te dipende Se egli a lungo sopravvivrà a una dorata tomba e sarà lodato da età ancora da venire. Fa’ dunque il tuo ufficio, Musa; io ti insegno come Farlo sembrare fra molto tempo come ora appare.

102 − (lettore italiano Marta Cuscunà) − Più forte è il mio amore, anche se più debole appare, ed io non amo meno, pur se meno lo dimostro. È venale quell’amore il cui ricco valore È dovunque divulgato da colui che lo possiede. Giovane era il nostro amore, appena in primavera, quando io lo salutavo con le mie canzoni, come canta Filomela sulla soglia dell’estate, e poi il suo flauto arresta al maturare dei giorni. Non che l’estate sia meno amabile ora di quando i suoi mesti inni azzittivano la notte, ma una musica chiassosa grava su ogni ramo, e le dolcezze, se si fanno comuni, perdono delizia. Perciò, come lei, io talvolta trattengo la lingua, perché non vorrei tediarti con il mio canto.

103 − (lettore italiano Riccardo Diana) − Ahimè, quale miseria produce la mia Musa, ché, pur avendo un tale campo per mostrare il suo splendore, il suo argomento, tutto nudo, è di maggior pregio che quando gli si aggiunga il mio apprezzamento. Oh, non biasimarmi se più non posso scrivere! Guarda nel tuo specchio, e lì appare un volto che supera di gran lunga la mia stanca invenzione, offuscando i miei versi e recandomi discredito. Non sarebbe un peccato, allora, volendo migliorarlo, sciupare il soggetto che prima era bello? Perché a nessun altro scopo mirano i miei versi, se non a cantare le tue grazie e le tue doti; e più, molto di più che non possa stare nel mio verso, te lo mostra il tuo specchio, quando ci guardi dentro.

104 − (lettore italiano Paola Pitagora) − Per me, dolce amico, tu non potrai mai essere vecchio, perché com’eri quando dapprima il tuo occhio io vidi, tale sembra la tua bellezza ancora. Tre freddi inverni hanno dalle foreste scosso il vanto in gialli autunni nel volgere delle stagioni ho visto, tre profumi d’aprile bruciati in tre ardenti giugni, dacché fresco dapprima vidi te, che tuttavia sei verde. Ah, la bellezza tuttavia, come l’indice di una meridiana, trafuga dalla sua figura, e nessun passo è percepìto; così la tua dolce forma, che a me sembra stare immobile, ha movimento, e il mio occhio può essere ingannato. Per il qual timore, ascolta questo, tu epoca non nata: prima che tu nascessi, era morta l’estate della bellezza.

105 − (lettore italiano Marta Cuscunà) − Non sia chiamato il mio amore idolatria, né come un idolo appaia il mio amato, se tutti uguali sono i miei canti e le mie lodi, per uno, di uno, ancora gli stessi, e sempre tali. Gentile è il mio amore oggi, domani gentile, sempre costante in meravigliosa eccellenza; perciò la mia poesia, legata alla costanza, esprimendo una cosa sola, ogni varietà tralascia. “Bello, gentile e vero” è tutto il mio argomento, “bello, gentile e vero”, variato nelle parole, e in queste variazioni la mia invenzione si consuma – tre temi in uno, che offre una straordinaria prospettiva. Il bello, il gentile e il vero spesso vissero da soli, ma i tre finora mai risedettero in uno.

106 − (lettore italiano Giuliana Musso) − Quando nelle cronache del tempo consumato Vedo descrizioni delle persone più belle, e la bellezza far belle le antiche rime in lode di morte dame e leggiadri cavalieri; allora, nelle celebrazioni della più alta dolce bellezza, di mano, o piede, o labbro, o occhio, o fronte, io vedo che la loro penna antica voleva esprimere proprio la bellezza che tu ora possiedi. Così tutte le lodi non sono che profezie di questo nostro tempo, tutte prefigurando te, e poiché essi non guardavano se non con occhi divinanti non conoscevano abbastanza per cantare il tuo valore; mentre noi che ora vediamo questi giorni presenti, abbiamo occhi per ammirare, ma non lingue per lodare.

107 − (lettore italiano Francesca Sara Toich) − Né le mie intime paura, né l’anima profetica del vasto mondo sognante di cose a venire, possono più limitare la durata del mio devoto amore, ch pensai soggetto ad un destino circoscritto. La luna mortale ha superato la sua eclissi, e i tristi àuguri ridono dei loro stessi presagi; ora le incertezze si coronano di certezze, e la pace proclama ulivi di età sconfinata. Ora, nel gocciare di questo balsamico tempo, il mio amore appare fresco, e la Morte a me si inchina, perché, a suo dispetto, io vivrò in queste povere rime, mentre essa trionfa su ottuse tribù senza parola. E tu in questa poesia troverai il tuo momento, quando cimieri di tiranni e tombe di bronzo saranno consumati.

108 − (lettore italiano Valerio Binasco) − Cosa c’è nel cervello, che l’inchiostro possa vergare, che non ti abbia già raffigurato il mio spirito fedele? Cosa c’è di nuovo da dire, cosa ancora da registrare, che possa esprimere il mio amore, o il tuo merito prezioso? Niente, dolce ragazzo, eppure come divine preghiere io devo ogni giorno ridire sempre lo stesso, non contando vecchia nessuna cosa vecchia, tu mio, io tuo, proprio come quando dapprima santificai il tuo bel nome. Cosicché l’eterno amore, in nuove fogge d’amore, non si cura della polvere e dell’offesa del tempo, né concede spazio alle inesorabili rughe, ma fa la vecchiaia per sempre sua serva, trovando il primo concetto d’amore lì generato dove il tempo e la forma esteriore vorrebbero mostrarlo morto.

109 − (lettore italiano Stefano Accorsi) − Oh, non dire mai che fui falso nel cuore, anche se l’assenza sembrò smorzare la mia fiamma; più facilmente potrei separarmi da me stesso che non dalla mia anima, che nel tuo petto risiede: lì è la mia casa d’amore, e se di lì mi sono allontanato, come un viaggiatore di nuovo vi ritorno, giusto a tempo, dal tempo non cambiato, e così porto acqua alla mia macchia. Non credere mai che la mia natura, pur se vi regnasse ogni debolezza che ogni indole assedia, potrebbe macchiarsi cosi snaturatamente da abbandonare per nulla, l’intera somma del tuo bene; perché nulla io chiamo questo vasto universo, a parte te mia rosa: in esso, tu sei il mio tutto.

110 − (lettore italiano Marco Baliani) − Ahimè, è vero, sono andato di qua e di là, mostrandomi a tutti come un buffone, ho rappezzato i miei pensieri, svenduto ciò che è più caro, e a nuovi affetti ho arrecato vecchie offese. E verissimo è anche che la fedeltà ho guardato di sbieco e come una straniera. Ma, per il cielo, quegli sbandamenti hanno dato al mio cuore nuova giovinezza, e peggiori esperienze ti hanno provato il mio migliore amore. Ora che tutto è passato, accogli ciò che non avrà fine: il mio appetito io mai più affilerò con nuove prove per mettere alla prova un vecchio amico, un dio dell’amore, al quale io mi confino. Dammi dunque accoglienza, la migliore per me prima del paradiso dentro al tuo puro, al tuo più e più amoroso petto.

111 − (lettore italiano Iaia Forte) − Oh, per amore mio, sgrida tu la Fortuna, la dea colpevole delle mie cattive azioni, che non provvide di meglio alla mia vita se non volgari mezzi che creano volgari modi. Di lì deriva che il mio nome porta un marchio, di lì che la mia natura è quasi soggiogata da ciò in cui lavora, come la mano del tintore. Compatiscimi, allora, e desiderami rinnovato, se vorrò bere, come un docile paziente, pozioni d’aceto contro la mia grave infezione; non ci sarà amarezza che riterrò amara, né doppia penitenza per correggermi due volte. Compatiscimi, allora, caro amico, e ti assicuro che la sola tua pietà basta a guarirmi.

112 − (lettore italiano Paolo Musio) − Il tuo amore e la tua pietà cancellano quel marchio che la volgare calunnia stampò sulla mia fronte, perché cosa m’importa di che bene o male di me, se tu ricopri il mio male e il mio bene riconosci? Tu sei tutto il mio mondo, ed io dovevo sforzarmi di conoscere dalla tua lingua i miei pregi e le mie vergogne; nessun altro esiste per me (né io per nessun altro sono vivo) − che nel bene o nel male possa volgere la mia indurita coscienza. Getto ogni cura delle altrui voci in un abisso così profondo che il mio udito da aspide si chiude a chi mi critica come a chi mi lusinga. E nota come giustifico la mia noncuranza: così fortemente ti sei radicato nel mio pensiero che tutto il resto del mondo mi pare morto.

113 − (lettore italiano Nadia Ferrero) − Da quando ti lasciai, il mio occhio è nella mia mente, e quell’occhio che mi guida nell’andare solo in parte fa la sua funzione e in parte è cieco, sembra che veda, ma in effetti è spento; perché nessuna forma trasmette al cuore, di uccello, di fiore, o di figura che afferri. Dei suoi vividi oggetti non partecipa la mente, né la sua visione trattiene quel che coglie; perché, che veda la più goffa o la più gentile cosa, la più ben fatta o la più deforme creatura, la montagna o il mare, il giorno o la notte, il corvo o la colomba, esso li foggia del tuo aspetto. Incapace di contenere altro, ricolma di te la mia mente sincera fa così il mio occhio falso.

114 − (lettore italiano Stefano Accorsi) − Forse la mia mente, di te incontrata, tracanna quella maledizione dei monarchi, la lusinga? O dovrò invece dire che il mio occhio dice il vero e che il tuo amore gli insegnò tale alchimia da trasformare mostri e cose informi in cherubini somiglianti al tuo dolce te, creando da ogni cosa brutta un perfetto meglio, appena gli oggetti si aggregano sotto i suoi raggi? Oh, è il primo caso, nel mio sguardo c’è una lusinga e la mia grande mente la tracanna come un re: il mio occhio conosce ciò che le è gradito al gusto e prepara la coppa che s’addice al suo palato. Se è avvelenata, minore sarà il peccato del mio occhio, che l’ama e la assaggia per primo.

115 − (lettore italiano Paolo Graziosi) − Mentono quei versi che finora ho scritto, proprio quelli in cui dicevo di non poterti amare meglio; ma allora la mia mente non conosceva una ragione per cui la mia fiamma pienissima dovesse poi bruciar più chiara. Ma, tenendo conto del Tempo, i cui infiniti accidenti rompono i giuramenti e cambiano i decreti dei re, sconciano la sacra bellezza, spuntano i più affilati intenti, e dirottano menti salde nel corso delle mutevoli cose, ahimè, perché temendo la tirannia del Tempo, non dovevo dire allora “Ora è massimo il mio amore”, quando ne era certo al di là dell’incertezza, incoronando il presente, dubitando del resto? L’amore è un bambino; quindi non dovevo dirlo, attribuendo crescita piena a quel che tuttora cresce.

116 − (lettore italiano Marco Baliani) − Non sarà che al matrimonio di animi costanti io ponga impedimenti: non è amore quell’amore che muta quando scopre mutamenti o tende a ritirarsi se l’altro si ritira. Oh no, esso è un faro per sempre fisso che guarda alle tempeste e mai ne è scosso; è la stella polare per ogni nave errante, e il suo valore resta ignoto, anche se l’altezza ne sia presa. L’amore non è lo zimbello del Tempo, anche se rosee labbra e guance cadono nel compasso delle sua falce ricurva l’amore non muta le sue brevi ore e settimane, ma resiste fino all’orlo del Giudizio. Se questo è errore e mi sia provato, io non ho mai scritto, e nessuno ha mai amato.

117 − (lettore italiano Valerio Binasco) − Accusami così: che ho lesinato nel ripagare, come dovevo, i tuoi grandi meriti, e dimenticato di invocare il tuo carissimo amore, al quale ogni impegno mi lega, giorno dopo giorno; che ho frequentato menti sconosciute e sperperato quel diritto che avevi pagato caro, e ho alzato le vele a tutti i venti che mi portassero quanto più lontano dalla tua vista. Registra la mia sregolatezza e i miei errori, e aggiungi congetture e giuste prove; esponimi alla mira del tuo occhio aggrondato, ma non sparare su di me nel tuo ravvivato odio, perché la mia difesa afferma che cercai solo di provare la costanza e la forza del tuo amore.

118 − (lettore italiano Iaia Forte) − Come per aguzzare l’appetito con piccanti intrugli stuzzichiamo il palato; come, per prevenire malanni non ancora apparsi, ci ammaliamo con purghe onde evitare malattie; così, ricolmo della tua dolcezza che non sazia mai, volsi il mio nutrimento da agre salse, e, sofferte di benessere, mi sembrò opportuno ammalarmi ancor prima che fosse inevitabile. Così un’astuzia d’amore, per anticipare mali inesistenti, creò reali colpe e affidò alla medicina uno stato di salute, che, gonfio di bene, volle curarsi col male. Ma da questo io imparo, e trovo vera la lezione, che le droghe avvelenate chi così si ammalò di te.

119 − (lettore italiano Fabrizio Gifuni) − Che pozioni ho bevuto di lacrime di sirene, distillate da alambicchi sporchi dentro come l’inferno, somministrando paure alle speranze e speranze alle paure, sempre perdendo quando mi vedevo vincere! Che sciagurati errori ha commesso il mio cuore, quando si è ritenuto come non mai beato! Come si sono spostati i miei occhi fuori dalle loro sfere nello sconvolgimento di quella folle febbre! Oh beneficio del male! Ora trovo vero che il meglio è reso dal male ancora meglio, e l’amore rovinato, quando è edificato nuovamente, cresce più bello di prima, più forte, molto più grande. Così ritorno avvilito a quello che mi appaga, e guadagno dal male tre volte quanto ho speso.

120 − (lettore italiano Elisabetta Arosio) − Che una volta tu fosti infedele ora m’aiuta, e, per quel dolore che io provai allora, devo per forza piegarmi sotto la mia trasgressione, se i miei nervi non sono di bronzo o di temprato acciaio. Perché se dalla mia infedeltà sei stato sconvolto come io dalla tua, hai passato un tempo d’inferno, ed io crudele, non ho trovato tempo per considerare quanto soffrii una volta io per il tuo torto. Oh, se quella nostra notte di affanni avesse rammentato ai miei più fondi sensi come il vero dolore colpisce duro e t’avessi subito offerto, come tu a me allora, l’umile balsamo che lenisce i petti feriti! Ma quella tua trasgressione ora serve da pagamento: la mia riscatta la tua, e la tua deve riscattare me.

121 − (lettore italiano Paolo Graziosi) − E’ meglio essere abietti che essere ritenuti abietti, quando non esserlo viene rimproverato di esserlo, il giusto piacere è perso, perché considerato abietto, non dal nostro sentimento, ma dalle vedute degli altri. Perché mai dovrebbero gli altrui occhi falsi e corrotti salutarmi ammiccando al mio sangue sensuale? O perché dietro alle mie debolezze stanno più deboli spie che, secondo le loro voglie, giudicano cattivo ciò che io penso buono? No, io sono quel che sono, e coloro che prendono di mira le mie colpe, non fanno che il conto delle proprie. Io forse sono retto mentre essi sono distorti; dai loro laidi pensieri i miei atti non saranno interpretati, a meno che essi non sostengano questo male universale: che tutti gli uomini sono cattivi e regnano nella loro cattiveria.

122 − (lettore italiano Nadia Ferrero) − Il tuo dono, il tuo taccuino, è nel mio cervello, tutto scritto in memoria duratura, e resterà più a lungo di quelle vane righe, oltre ogni scadenza, fino all’eternità; o, almeno, fino a quando il cervello e il cuore avranno, dalla natura, facoltà di esistere; finché ognuno dei due all’oblìo che tutto abbatte non cederà la sua parte di te, il tuo ricordo non andrà mai perduto. Quel povero ricettacolo non poteva contenere tanto, e a me non serve registro per contare il tuo caro amore; perciò mi feci ardito a darlo via, per affidarmi al taccuino della mente che più ti accoglie. Conservare un sussidio per ricordarmi di te starebbe a significare dimenticanza in me.

123 − (lettore italiano Susanna Cro) − No! Tempo, tu non ti vanterai che io muti! Le tue piramidi costruite con rinnovata potenza non sono per me nulla di uno spettacolo già visto. I nostri giorni sono brevi, e perciò guardiamo stupiti quello che ci propini di già vecchio, e lo crediamo nato per il nostro desiderio invece di pensare d’averlo già udito raccontare. I tuoi registri e te insieme io sfido, non meravigliandomi del presente né del passato, perché i tuoi annali e ciò che vediamo mentono, fatti più grandi o più piccoli della tua continua fretta. Di questo faccio voto, e questo sarà sempre: io resterò costante, malgrado te e la tua falce.

124 − (lettore italiano Paolo Musio) − Se il mio caro amore fosse soltanto figlio di un’alta condizione, come bastardo della Fortuna, potrebbe restare senza padre, perché soggetto all’amore del Tempo, o all’odio del Tempo, erbaccia tra erbacce o fiore con fiori raccolto. No, esso fu edificato fuori da ogni accidente; non si guasta nel sorriso dello sfarzo, né cade sotto i colpi del malcontento oppresso, a cui l’epoca invitante chiama il nostro costume. Esso non teme l’intrigo, quell’eretico che opera su termini di brevi ore contate, ma sta tutto solo, immerso e incorruttibile, e non cresce col calore né annega con le piogge. A questo io chiamo testimoni i buffoni del Tempo, che muoiono per il bene dopo aver vissuto per il crimine.

125 − (lettore italiano Roberto Rustioni) − A che potrebbe servirmi reggere il baldacchino, porgendo onore esteriore a ciò che è esterno, o gettare grandi fondamenta per un’eternità che si mostra più caduca della rovina o dello spreco? Non ho visto chi vive di cerimonie e di favori perdere tutto, e ancor più, pagando un affitto troppo caro, rinunciando per dolci intrugli ai semplici sapori, pietosi arrivisti consumati dal loro sguardo? No, io il mio ossequio lo renderò al tuo cuore, e tu accogli la mia offerta, povera ma sincera, che non si mischia con scorie, e conosce solo l’arte del vicendevole scambio, solo me per te. Via di qui, subornato delatore! Un animo onesto, quanto più lo accusi, tanto meno sta in tuo potere.

126 − (lettore italiano Valentina Picello) − Oh tu, mio amabile ragazzo, che in tuo potere tieni la clessidra scorrevole del Tempo e l’ora della falce, che, declinando, sei cresciuto, e così riveli l’appassire dei tuoi amici col crescere tuo dolce; se la Natura, signora sovrana sopra ogni rovina, mentre tu innanzi procedi, ti tira sempre indietro, essa ti mantiene a questo scopo, perché la sua arte possa screditare il Tempo e uccidere i miserabili minuti. Témila tuttavia, tu favorito del suo piacere! Essa può trattenere, ma non serbare per sempre il suo tesoro. La sua resa dei conti, pur se differita, dovrà essere saldata, e la sua quietanza starà nel consegnare te.

127 − (lettore italiano Umberto Orsini) − Ai tempi antichi il nero non era ritenuto bello, o, se lo era, non portava il nome di bellezza; ma ora il nero è della bellezza il vero erede, e la bellezza è diffamata col marchio di bastarda: da quando ogni mano ha usurpato il potere di Natura, abbellendo il brutto con false facce fatte ad arte, la dolce bellezza non ha nome né sacra dimora, ma è profanata, se non vive in disgrazia. Perciò gli occhi della mia donna sono nero corvo, occhi messi a lutto a levare lamenti per quelle che, non nate belle, non fanno a meno di bellezza, diffamando con falsi pregi la Natura creatrice. Essi si lamentano tuttavia con tale grazia di dolore che ogni lingua dice che così la bellezza dovrebbe apparire.

128 − (lettore italiano Roberta Rovelli) − Ai tempi antichi il nero non era ritenuto bello, o, se lo era, non portava il nome di bellezza; ma ora il nero è della bellezza il vero erede, e la bellezza è diffamata col marchio di bastarda: da quando ogni mano ha usurpato il potere di Natura, abbellendo il brutto con false facce fatte ad arte, la dolce bellezza non ha nome né sacra dimora, ma è profanata, se non vive in disgrazia. Perciò gli occhi della mia donna sono nero corvo, occhi messi a lutto a levare lamenti per quelle che, non nate belle, non fanno a meno di bellezza, diffamando con falsi pregi la Natura creatrice. Essi si lamentano tuttavia con tale grazia di dolore che ogni lingua dice che così la bellezza dovrebbe apparire.

129 − (lettore italiano Valerio Binasco) − Spreco di spirito in vergognoso scempio è lussuria in atto, e finché è tanto in atto, la lussuria è spergiura, assassina, ricolma di sangue e di colpa, selvaggia, estrema, brutale, crudele, infida; appena goduta, subito disprezzata; dissennatamente rincorsa, e appena avuta, dissennatamente odiata, come inghiottita esca a bella posta tesa a render chi la prenda folle; folle nella caccia come nel possesso; avendo avuto, avendo e cercando di avere, estrema; una beatitudine alla prova e, provata, una gran pena; prima, una gioia ripromessa; dopo, un sogno. Tutto questo il mondo ben lo sa, ma nessuno sa bene come evitare il paradiso che porta gli uomini a questo inferno.

130 − (lettore italiano Alan Rickman) − Gli occhi della mia donna non sono come il sole; il corallo è assai più rosso del rosso delle sue labbra; se la neve è bianca, allora i suoi seni sono bigi; se i capelli sono crini, neri crini crescono sul suo capo. Ho visto rose damascate, rosse e bianche, ma tali rose non le vedo sulle guance; e in certi profumi c’è maggior delizia che non nel fiato che la mia donna esala. Amo sentirla parlare, eppure so che la musica ha un suono molto più gradito. Ammetto di non aver mai veduto incedere una dea, ma la mia donna camminando calca la terra. Eppure, per il cielo, credo il mio amore tanto raro quanto qualsiasi donna travisata da falsi paragoni.

131 − (lettore italiano Antonio Gargiulo) − Tu sei tiranna, fatta come sei, al pari de quelle che la bellezza superba rende crudeli; perché sai che per il mio caro cuore appassionato tu sei il gioiello più chiaro e più prezioso. Eppure, in buona fede, alcuni dicono al guardarti che il tuo volto non può far sospira d’amore; a dire che si sbagliano non arriva il mio ardire, anche se tra me e me io lo giuro. E, a farmi certo che non giuro il falso, mille sospiri, al solo pensiero del tuo volto, fanno ressa, l’uno dopo l’altro, per testimoniare che il tuo nero è chiarissimo secondo il mio giudizio. In niente sei tu nera, se non nelle tue azioni, e di lì quella calunnia io credo che derivi.

132 − (lettore italiano Alvia Reale) − Amo i tuoi occhi, ed essi, come a compatirmi, sapendo che il tuo cuore mi tormenta col disdegno, si vestono di nero e in amoroso lutto guardano con graziosa pietà alla mia pena. E veramente né il sole celeste del mattino meglio si addice alle grigie guance dell’oriente, né quella colma stella che annuncia la sera reca più splendore al cupo occidente, di quanto si addicano al tuo volto i tuoi luttuosi occhi mattutini. portare il lutto per me, perché il lutto ti dà grazia, e rivesti di pietà ogni parte di te in ugual modo. Allora io giurerò che la bellezza stessa è nera, e brutte tutte le donne che non hanno il tuo colore.

133 − (lettore italiano Michele Di Mauro) − Maledetto sia il cuore che fa lamentare il mio per la ferita profonda che al mio amico e a me infligge! Non ti basta torturare me soltanto, ma schiavo della stessa schiavitù dev’essere il dolcissimo mio amico? Me a me stesso il tuo crudele occhio ha tolto, e l’altro me stesso più duramente hai catturato; da lui, da me, e da te io sono abbandonato: tre volte triplice è il tormento di tale frustrazione. Imprigiona il mio cuore nella cella del tuo ferrigno petto, ma poi lascia che esso riscatti il cuore del mio amico; chiunque mi detenga, il mio cuore sia di lui il custode: tu allora non potrai usar rigore nella mia prigione. Eppure lo farai, perché, essendo io rinchiuso in te, sono per forza tuo, e tuo è tutto ciò che è in me.

134 − (lettore italiano Graziano Piazza) − Così, ora che ho confessato che lui è tuo, e io stesso sono ipotecato alle tue voglie, me stesso darò in pegno, purché quell’altro me stesso tu mi restituisca per mio durevole conforto. Ma tu non vuoi, né vuole lui essere affrancato, perché tu sei avida e lui è cortese. Lui doveva solo firmare per me come garante quel contratto che invece lega anche lui non meno stretto. Tu esigi la penale stipulata sulla tua bellezza, tu usuraia che dai tutto ad interesse, e persegui un amico che venne a indebitarsi per mio conto; e così io perdo lui per l’indebito uso che ne ho fatto. Lui io ho perduto, e tu hai lui e me; egli ti paga fin in fondo, ma ciò non affranca me.

135 − (lettore italiano Graziano Piazza) − Se ogni donna ha quel che vuole, tu hai il tuo Will, e un Will ancora, e un Will in sovrappiù; e sono d’avanzo io, che sempre ti molesto, aggiungendomi così alla tua dolce voglia. Non vorrai tu, la cui voglia è larga e spaziosa, concedermi una volta di celare la mia voglia nella tua? Dovrà l’altrui voglia apparire tutta grazia e alla mia voglia non arriderà gentile accoglienza? Il mare, tutto acqua, riceve pur sempre la pioggia, e in abbondanza accresce le sue scorte; così, tu che di Will sei ricca, aggiungi al tuo Will una mia voglia per far ancor più larga la tua voglia. Il tuo crudele “no” non uccida gentili pretendenti: pensali tutti quanti uno, e me unico Will in tutta quella voglia.

136 − (lettore italiano Andrea Di Casa) − Se la tua anima ti frena perché io così ti incalzo, giura alla tua anima cieca che ero io, il tuo Will, e la tua anima sa che la voglia è lì dentro ammessa; fin in fondo, per amor mio, dolcemente soddisfa l’amorosa mia richiesta. E Will soddisferà il forziere del tuo amore, sì, lo riempirà tutto di voglie, e la mia voglia in quelle. In cose di grandi entrate agevolmente riscontriamo che nel gran numero uno è contato nulla. In quel numero dunque lasciami passare inosservato, anche se nel conto dei tuoi beni sarò per forza uno; ritienimi un nulla, purché ti piaccia tenere quel nulla, me, come un qualcosa di dolce per te. Innamòrati solo del mio nome, e amalo sempre, e allora ami me, perché il mio nome è Will, la voglia.

137 − (lettore italiano Alfredo Angelici) − Tu cieco folle Amore, che cosa fai ai miei occhi, che guardano e non vedono ciò che vedono? Sanno cos’è la bellezza, vedono dove si trova, eppure prendono il peggio per il meglio. Se gli occhi, corrotti da sguardi troppo generosi, gettano l’ancora nella baia dove tutti danno fondo, perché dalla falsità degli occhi hai forgiato uncini da cui è legato il giudizio del mio cuore? Perché il mio cuore dovrebbe credere pascolo privato quello che sa terreno aperto al mondo intero? O i miei occhi, vedendo questo, dicono che non è così, per dare una bella onestà a un volto così impuro? In cose giuste e vere il mio cuore e i miei occhi hanno sbagliato, e a questa falsa piaga sono ora condannati.

138 − (lettore italiano Valter Malosti) − Quando il mio amore giura d’essere tutta fedeltà, io le credo, anche se so che mente, affinché possa pensarmi un giovane inesperto, ignaro delle false sottigliezze del mondo. Così, con vanità pensando che giovane mi pensi, sebbene lei sappia che son passati i miei giorni migliori, ingenuamente presto fede alla sua lingua bugiarda; e così da tutte e due le parti la semplice verità è cancellata. Ma perché non dice lei d’essere infedele? E perché non dico io d’essere vecchio? Oh, il miglior costume dell’amore è l’apparente fiducia, e la vecchiaia innamorata non ama che le siano contati gli anni. Perciò io mento giacendo con lei, e lei con me, e, nelle nostre colpe, siamo lusingati da menzogne.

139 − (lettore italiano Laura Marinoni) − Oh, non chiamare me a giustificare il torto che la tua crudeltà infligge al mio cuore; non ferirmi con gli occhi, ma con la lingua; usa la forza con la forza, non uccidermi con trucchi; dimmi che il tuo amore va altrove, ma in mia presenza astieniti, cuor mio, da lanciare occhiate attorno. Hai bisogno di ferirmi con l’inganno, quando hai maggior forza di quanta possa sopportare l’incalzata mia difesa? Così ti scuserò: “Ah, il mio amore sa bene che i suoi graziosi sguardi mi furono nemici, e perciò li distoglie dal mio volto, perché dardeggino altrove i loro colpi”. Ma non farlo; poiché mi hai quasi ucciso, finiscimi con gli sguardi e toglimi la pena.

140 − (lettore italiano Graziano Piazza) − Sii saggia quanto sei crudele, non opprimere la mia pazienza muta con troppo disdegno, perché il dolore non mi dia parole e non esprimano le parole il modo della mia compatita pena. Se posso insegnarti il senno, meglio sarebbe, amore, pur se non m’ami, che dicessi d’amarmi – come a malati intrattabili, quando la morte s’avvicina, i medici non danno che notizie di salute. Perché, se dovessi disperare, diventerei pazzo, e nella mia pazzia potrei parlar male di te, e questo mondo maligno è divenuto così cattivo che pazzi calunniatori sono creduti da pazzi orecchi. Perché così non sia, e tu non venga diffamata, tieni dritti i tuoi occhi, anche se il tuo vano cuore si svia.

141 − (lettore italiano Isabella Ragonese) − In verità, io non ti amo coi miei occhi, perché essi notano in te mille difetti; ma è il mio cuore ad amare ciò che essi disprezzano e a dispetto della vista, si compiace di languire. Né i miei orecchi sono deliziati dalla melodia della tua voce, né il mio tatto delicato è incline a basse carezze, né il gusto né l’olfatto anelano ad essere invitati ad una festa sensuale con te sola; ma né le mie cinque facoltà né i miei cinque sensi possono dissuadere dal servirti uno sciocco cuore, che lascia in governata la mia apparenza d’uomo e la fa schiava e miserabile vassalla del tuo cuore vano. Ma la mia piaga conto come mio guadagno, poiché colei mi fa peccare m’impartisce la mia pena.

142 − (lettore italiano Sandro Lombardi) − L’amore è il mio peccato, e la tua virtù prediletta l’odio, odio del mio peccato, fondato su un peccaminoso amare. Oh, ma confronta con il mio il tuo stesso stato, e scoprirai che esso non merita riprovazione, o, se la merita, non dalle tue labbra che hanno profanato il loro scarlatto ornato suggellando non meno delle mie falsi patti d’amore e hanno rubato a letti altrui le rendite dovute. Sia legittimo, dunque, che io ami te come tu ami quelli che i tuoi occhi corteggiano come i miei importunano te. Radica pietà nel tuo cuore, così che, quando cresca, la tua pietà possa meritare d’esser compatita. Se tu cerchi di avere quello che agli altri rifiuti, per il tuo stesso esempio potrebbe esserti negato.

143 − (lettore italiano Maddalena Crippa) − Come la solerte massaia corre ad acchiappare uno dei suoi amati pennuti che è scappato via, posa il suo bambino e in tutta fretta insegue la creatura che vuol fermare, mentre, trascurato, il figlio le dà la caccia e strilla per raggiungerla, mentre lei è tutta presa a rincorrere quell’altro che le fugge sotto il naso, incurante dell’affanno del suo infante: così tu corri dietro a quello che ti sfugge, mentre io, il tuo bambino, ti inseguo da lontano; ma se acchiappi quel che speri, volgiti indietro a me e fa la parte della mamma: baciami, sii buona. Allora pregherò che tu abbia quel che vuoi, se ti volterai a calmare il mio alto pianto.

144 − (lettore italiano Giuliana Lojodice) − Ho due amori, per conforto e per disperazione, che come due spiriti mi suggestionano sempre: l’angelo migliore è un uomo bello e biondo, lo spirito peggiore una donna di mala tinta. Per conquistarmi subito all’inferno, il mio male femmina seduce dal mio fianco il mio angelo migliore, e vuol corrompere il mio santo in un demonio, tentandone la purezza con la sua sozza lussuria. E che il mio angelo si sia volto in diavolo, posso sospettarlo, e non però affermarlo; ma, essendo entrambi lontani da me, e tra di loro amici, indovino l’angelo nell’inferno di quell’altra. Questo, però, non lo saprò mai, e vivrò nel dubbio, finché il mio angelo cattivo non cacci via marchiato quello buono.

145 − (lettore italiano Franco Branciaroli) − Quelle labbra che la mano stressa d’Amore fece bisbigliarono un suono che diceva “Io odio”, a me che languivo per amor suo; ma quando lei vide il mio penoso stato, subito scese nel suo cuore la pietà a biasimare quella lingua che, sempre dolce, era solita dare miti sentenze, e così le insegnò a interpellarmi nuovamente: “Io odio” lo cambiò con un finale che gli seguì come il giorno gentile segue alla notte che, simile a un demonio, dal cielo vola via nell’inferno. “Io odio” lo affrancò dall’odio, e salvò la mia vita dicendo “non te”.

146 − (lettore italiano Maddalena Crippa) − Povera anima, centro della mia terra peccaminosa, [incalzata da ] queste forze ribelli che ti rivestono, perché dentro languisci e soffri carestia, dipingendo le tue mura esterne con così costoso sfarzo? Perché un prezzo così alto, avendo un affitto così breve, spendi per la tua dimora che si stinge? Dovranno i vermi, eredi di questo spreco, divorare la tua spesa? Questo è il fine del tuo corpo? Sostèntati dunque, anima, delle privazioni del tuo servo, e lascialo languire per aumentare le tue scorie; dentro sii nutrita, fuori non più ricca. Così ti nutrirai della Morte, che si nutre degli uomini, e, morta una volta la Morte, non c’è più il morire.

147 − (lettore italiano Umberto Orsini) − Il mio amore è come una febbre, anelando sempre a ciò che più a lungo ne alimenta il morbo, nutrendosi di ciò che ne conserva il male, per compiacere il volubile e malato appetito. La mia ragione, medico del mio amore, furiosa che le sue prescrizioni non vengano seguìte, m’ha abbandonato, e ora disperato scopro che il desiderio è morte, e la medicina lo vietava. Sono incurabile, ora che la ragione più non mi cura, e, pazzo delirante per continua agitazione, i miei pensieri e i miei discorsi sono quelli dei folli, vanamente formulati alla rinfusa, lontano dal vero; perché ti ho giurata bella e ti ho pensata luminosa, tu che sei nera come l’inferno, e buia come la notte.

148 − (lettore italiano Anna Bonaiuto) − Ahimè, quali occhi mi hai messo in fronte amore, che non hanno rispondenza nella vera vista! O, se l’hanno, dov’è fuggito il mio giudizio che valuta falsamente ciò che essi vedono giusto? Se è bello ciò per cui vaneggiano il miei falsi occhi, cosa intende il mondo dicendo che non lo è? Se non lo è, il mio amore ben dimostra che l’occhio d’amore non è, come quello di tutti, veritiero. No, come potrebbe? Oh, come potrebbe l’occhio d’amore essere veritiero, quand’è così turbato da lacrime e da veglie? Nessuna meraviglia allora se mi sbaglio nel vedere: il sole stesso non vede, finché il cielo non rischiara. Oh, astuto amore, con lacrime tu mi tieni cieco, perché, vedendo bene, gli occhi non scoprano i tuoi turpi difetti.

149 − (lettore italiano Marco Martinelli) − Puoi dire tu, crudele, che io non ti amo, quando con te contro me stesso mi schiero? Non penso forse a te, quando mi dimentico di me, tiranno di me stesso per amor tuo? Chi ti odia lo chiamo forse amico? Chi riceve il tuo cipiglio ha da me lusinghe? Di più, se con me ti imbronci, non preferisco vendetta contro me stesso con immediati lamenti? In me stesso quale merito riconosco tanto superbo da disdegnare i tuoi servigi, quando tutto il meglio di me venera i tuoi difetti, comandato dal moto dei tuoi occhi? Ma, amore, continua a odiarmi, perché ora capisco la tua mente: tu ami chi sa vedere, ed io sono cieco.

150 − (lettore italiano Daria De Florian) − Oh da quale potenza ricevi questo tuo forte potere di governare il mio cuore con le tue mancanze, di farmi accusare di menzogna la mia vista veritiera, e giurare che la chiara luce non dà grazia al giorno? Da dove ti deriva questo tuo far belle cose brutte, cosicché perfino negli scarti dei tuoi atti c’è una tale forza e prova di bravura che nella mia mente il tuo peggio supera ogni meglio? Chi t’insegnò a far sì che tanto più io t’ami quanto più sento e vedo ragioni per odiarti? Oh, se anche amo ciò che aborrono gli altri, insieme agli altri tu non dovresti aborrire il mio stato. Se la tua indegnità risvegliò in me amore, ben più degno sono io d’essere amato da te.

151 − (lettore italiano Graziano Piazza) − E’ troppo giovane Amore per sapere cosa sia la coscienza, ma chi non sa che la coscienza nasce dall’amore? Perciò, gentile ingannatrice, non incalzarmi sul mio fallo, perché colpevole delle mie colpe non dimostri la tua dolce persona. Infatti se tu così mi intrighi, io a mia volta intrigo la mia parte più nobile perché il mio rozzo corpo la tradisca. La mia anima ha un bel dire al mio corpo che esso può trionfare nell’amore; la carne non aspetta altra ragione, ma, sollevandosi al tuo nome, addita te come sua preda trionfale. Gonfia del suo vanto, si contenta di essere la povera tua schiava, di ficcarsi nelle tue faccende, e di cadere al tuo fianco. Non ritenere mancanza di coscienza che io chiami “amore” colei per il cui caro amore io mi levo e cado.

152 − (lettore italiano Francesco Spaziani) − Amando te, tu sai che io sono spergiuro, ma tu due volte sei spergiura, giurandomi amore: coi tuoi atti hai rotto il voto del tuo letto, e stracciato nuova fedeltà, giurando nuovo odio dopo aver concesso nuovo amore. Ma perché accuso te di aver violato due giuramenti, quando io ne infrango venti? Sono io il più spergiuro, perché tutti i miei voti sono giuramenti fatti solo per svisarti, e tutta la mia onesta fedeltà in te si perde. Perché ho giurato solenni giuramenti sul tuo profondo affetto, giuramenti sul tuo amore, la tua virtù, la tua costanza, e per illuminare te, ho accecato i miei occhi, o li ho fatti giurare contro la cosa che vedevano. Perché ti ho giurata bella: tanto più spergiuro l’occhio, giurare contro il vero una così turpe menzogna.

153 − (lettore italiano Sandro Lombardi) − Posò Cupido la sua torcia e cadde nel sonno. Una ninfa di Diana colse il momento propizio e il suo fuoco che accende amore subito immerse in una fredda fonte di quella valle, che dal sacro fuoco d’Amore trasse un vivo eterno calore, per sempre duraturo, e divenne un bagno bollente, che ancora gli uomini scoprono cura sovrana contro strane malattie. Ma, riattizzata all’occhio della mia donna l’amorosa torcia, il fanciullo volle per prova toccare il mio petto, e, ammalato quindi, cercai aiuto in quel bagno e lì mi affrettai, triste ospite indisposto. Ma non trovai salute; il bagno che mi aiuti è lì dove Cupido trasse nuovo fuoco: gli occhi della mia donna.

154 − (lettore italiano Valter Malosti) − Il piccolo dio dell’Amore, giacendo una volta addormentato, posò al suo fianco la sua torcia che infiamma i cuori, mentre molte ninfe, votate a vita casta, venivano a danzarli accanto; e nella vergine mano la più bella delle sue devote prese quel fuoco che molte legioni di cuori sinceri aveva riscaldato; e così il supremo capo del caldo desiderio fu disarmato, dormendo, da una mano vergine. Quella torcia lei spense in una vicina polla fredda, che dal fuoco d’Amore trasse un calore perpetuo, divenendo un bagno termale e un rimedio salutare per uomini ammalati; ma io, schiavo della mia donna, vi andai per guarire, e questo posso ora dimostrare: il fuoco d’Amore riscalda l’acqua, l’acqua non raffredda l’amore.

 
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