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BIRDLAND , dal 2010 al 2023

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papero62
view post Posted on 19/2/2013, 18:46 by: papero62

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Chick Corea compositore
In passato la figura del pianista Chick Corea, personalità di primo piano del jazz moderno, è stata spesso al centro dell’attenzione nella nostro spazio di storia del jazz, soprattutto per quanto riguarda la sua stoffa di interprete e bandleader.
Questa volta, come fatto di recente con Bill Evans, Maurizio Franco sposta l’accento andando ad indagare piuttosto l’ingegno di Chick Corea come compositore, che ha in repertorio opere le più diverse: dalle miniature dei Children Songs ai brani scritti per il trio nelle più diverse epoche, dalle composizioni per i suoi gruppi elettrici fino agli ultimi lavori per altri tipi di organico. Numerose sono le composizioni uscite dalle penne di Corea diventate oggi quasi degli standards e rivisitate da altri colleghi della scena jazzistica.
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Gary Burton, vibrafonista
Il vibrafono, strumento della famiglia delle percussioni, fu inventato negli Stati Uniti negli anni ’20 e si impose da subito negli ambienti del jazz. Lionel Hampton e poi Red Norvo ne furono i primi virtuosi, durante l’era classica della musica afro-americana. Passato un po’ di moda, il vibrafono è stato recuperato in tempi più moderni grazie ad alcuni strumentisti quali Milt Jackson e in seguito Gary Burton. Nato nel 1943 in Indiana, studente al Berkelee College of Music di Boston nei primi anni’60, Burton è da considerare il maggior vibrafonista jazz contemporaneo. Sin dai primi anni ’60 si mise in mostra con alcuni preziosi dischi a suo nome, contribuendo poi a sviluppare il suo strumento nella fusion e nel jazz moderno. Ha suonato con i più grandi del jazz, da George Shearing a Stan Getz, da Keith Jarrett, Chick Corea, Herbie Hancock ai maggiori chitarristi di oggi quali John Scofield, Pat Metheny, Ralph Towner. Uno dei suoi maggiori contributi allo sviluppo dello strumento è quello della tecnica delle quattro bacchette che, usata solo sporadicamente nel passato, è stata da lui perfezionata e resa comune.
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Mike Westbrook, lord del jazz inglese
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Dave Douglas, trombettista
Il trombettista Dave Douglas è una delle maggiori figure di strumentista, compositore e bandleader venute alla ribalta sulla scena musicale nuovayorkese dalla metà degli anni ’80. Tra le sue collaborazioni rilevanti come performer ricordiamo quelle con Bill Frisell, Joe Lovano, John Zorn (in particolare nel gruppo Masada), Uri Caine ed Anthony Braxton, mentre come capogruppo ha dato vita ad un suo quintetto acustico, alla band elettrica Keystone, all’ensemble cameristico Nomad, al gruppo di fiati Brass Ecstasy. Come autore ha ricevuto commissioni da enti quali il Birmingham Contemporary Music Group, il Norddeutscher Rundfunk, l’Orchestra Filarmonica di Essen, la compagnia di danza di Trisha Brown, la Library of Congress e la Stanford University. Ad oggi ha pubblicato più di una ventina di album a suo nome con le etichette Soul Note, Bluebird/RCA e Greenleaf Music. Claudio Sessa gli dedica in Birdland questo approfondito ritratto.
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I grandi festival: Newport 1958
Birdland si occupa di tanto in tanto dei festival che hanno dato lustro alla musica afro-americanae quello di Newport è senza dubbio il modello cui fecero riferimento le rassegne nate in seguito.
Nel 1954 una coppia dell’alta società della cittadina – Eliane e Louis Lorillard – ebbe l’idea di organizzare una serie di concerti, di incontri e tavole rotonde che avessero il jazz come tema di fondo. Contattato dai due coniugi, fu il produttore George Wein ad organizzare fattivamente l’evento che ebbe successo immediato, con ben più di 10.000 spettatori presenti nei due giorni previsti nel cartellone. Questa prima edizione si tenne nel Casino della città, alcuni concerti open air sul prato antistante. Da allora il nome di Newport è legato a doppio filo con il jazz, non solo dunque al turismo, alla sede della US Navy o alla Coppa America di vela per i quali la cittadina dello stato del Rhode Island è famosa.
La maggior parte delle prime edizioni furono diffuse e registrate da Voice of America: la documentazione è dunque a tal proposito copiosa e di grande valore. Marcello Lorrai, dopo aver passato in rassegna nella precedente serie la giornata speciale dedicata alla figura di Duke Ellington, ci propone stavolta alcune chicche dal resto del programma presentato a Newport nell’edizione del 1958, quella più ricca di documenti sonori di grande livello artistico: Gerry Mulligan, una splendida Anita O’Day, Jimmy Giuffre, Max Roach, Thelonious Monk ma anche Mahalia Jackson, Ray Charles e Chuck Berry sono alcuni dei protagonisti di quella storica annata.
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La Mel Lewis – Thad Jones Orchestra
Il batterista Mel Lewis (1929-1990), enfant prodige della batteria, si era formato alla scuola di Stan Kenton negli anni ’50 ed aveva collaborato più tardi con nomi altisonanti del jazz come quelli di Dizzy Gillespie, Benny Goodman e Gerry Mulligan. Musicista specializzato a “tenere le bacchette” nelle grandi formazioni orchestrali nel 1965 decide di formare la propria big band, in un momento dove il genere del jazz orchestrale era in deciso declino. Si associa in questa avventura al cornettista e trombettista Thad Jones (1923-1986, uno dei tre fratelli Jones del jazz moderno, con il drummer Elvin e il pianista Hank), che si era distinto per la sua militanza di quasi dieci anni (fino al 1963) nell’orchestra di Count Basie.
L’orchestra si organizza inizialmente come band di jam session al Village Vanguard di New York, dove si propone come richiamo fisso ogni lunedi sera già nei primi mesi del 1966. In breve tempo diventa il punto di riferimento imprescindibile del moderno jazz per big band, con il suo stile che mescola sapientemente lo swing , il bop e l’hard bop, con i suoi arrangiamenti virtuosi - firmati spesso da Jones - che richiedono una grande perizia tecnica da parte degli esecutori. Dell’orchestra faranno parte tra gli altri Marvin Stamm, Snooky Young e un giovane Jon Faddis tra le trombe;
Bob Brookmeyer e Jimmy Knepper nelle sezione dei tromboni; Pepper Adams, Billy Harper, Eddie Daniels, Joe Farrell in quella delle ance. L’orchestra produrrà una notevole discografia e si esibirà spesso in tour anche in Europa. Il suo Live in Munich registrato nel 1976 e pubblicato l’anno successivo riceverà il Grammy Award.
Subito dopo, e con la sorpresa di tutti, Thad Jones lascerà New York per trasferirsi a Copenhagen. Malgrado ciò l’orchestra – da allora solo a nome di Mel Lewis – continuerà a proporsi in concerto e a registrare dischi fino alla morte del batterista sopraggiunta nel 1990. Grazie alla grande fama acquisita e in omaggio ai suoi fondatori, l’orchestra non si scioglierà ma anzi proseguirà un’intensa attività fino ai nostri giorni, riscuotendo ancora interesse e successi, come i due Grammy vinti nel 2004 (progetto Slide Hampton) e nel 2008.
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Dave Douglas, trombettista
Il trombettista Dave Douglas è una delle maggiori figure di strumentista, compositore e bandleader venute alla ribalta sulla scena musicale nuovayorkese dalla metà degli anni ’80. Tra le sue collaborazioni rilevanti come performer ricordiamo quelle con Bill Frisell, Joe Lovano, John Zorn (in particolare nel gruppo Masada), Uri Caine ed Anthony Braxton, mentre come capogruppo ha dato vita ad un suo quintetto acustico, alla band elettrica Keystone, all’ensemble cameristico Nomad, al gruppo di fiati Brass Ecstasy. Come autore ha ricevuto commissioni da enti quali il Birmingham Contemporary Music Group, il Norddeutscher Rundfunk, l’Orchestra Filarmonica di Essen, la compagnia di danza di Trisha Brown, la Library of Congress e la Stanford University. Ad oggi ha pubblicato più di una ventina di album a suo nome con le etichette Soul Note, Bluebird/RCA e Greenleaf Music. Claudio Sessa gli dedica in Birdland questo approfondito ritratto.
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I grandi festival - Newport 1958
Birdland si occupa di tanto in tanto dei festival che hanno dato lustro alla musica afro-americanae quello di Newport è senza dubbio il modello cui fecero riferimento le rassegne nate in seguito.
Nel 1954 una coppia dell’alta società della cittadina – Eliane e Louis Lorillard – ebbe l’idea di organizzare una serie di concerti, di incontri e tavole rotonde che avessero il jazz come tema di fondo. Contattato dai due coniugi, fu il produttore George Wein ad organizzare fattivamente l’evento che ebbe successo immediato, con ben più di 10.000 spettatori presenti nei due giorni previsti nel cartellone. Questa prima edizione si tenne nel Casino della città, alcuni concerti open air sul prato antistante. Da allora il nome di Newport è legato a doppio filo con il jazz, non solo dunque al turismo, alla sede della US Navy o alla Coppa America di vela per i quali la cittadina dello stato del Rhode Island è famosa.
La maggior parte delle prime edizioni furono diffuse e registrate da Voice of America: la documentazione è dunque a tal proposito copiosa e di grande valore. Marcello Lorrai, dopo aver passato in rassegna nella precedente serie la giornata speciale dedicata alla figura di Duke Ellington, ci propone stavolta alcune chicche dal resto del programma presentato a Newport nell’edizione del 1958, quella più ricca di documenti sonori di grande livello artistico: Gerry Mulligan, una splendida Anita O’Day, Jimmy Giuffre, Max Roach, Thelonious Monk ma anche Mahalia Jackson, Ray Charles e Chuck Berry sono alcuni dei protagonisti di quella storica annata.
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Kenny Barron, pianista
Nato nel 1943 a Philadelphia e venuto alla ribalta all'inizio degli anni '60 accanto a Dizzy Gillespie, Kenny Barron è uno dei maggiori pianisti jazz in attività. Depositario della tradizione del be-bop, nel suo stile si riconoscono le diverse influenze del pianismo nero, in una linea che da Oscar Peterson, passando per Thelonious Monk, arriva a Herbie Hancock e McCoy Tyner. Tecnico eccellente, ricercatore di sonorità sempre nuove, fine elaboratore di armonie inusuali, Barron ha accompagnato un po' tutti i grandi nomi del jazz contemporaneo (Stan Getz, Freddie Hubbard, Ron Carter, Bobby Hutcherson, Milt Jackson…). A partire dagli anni '80 la sua immagine di sideman di lusso é cambiata: ha iniziato a proporsi come leader ed ha pubblicato a suo nome numerosi dischi eccelsi. Claudio Sessa ne propone qui un approfondito ritratto.
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La Mel Lewis - Thad Jones Orchestra
Il batterista Mel Lewis (1929-1990), enfant prodige della batteria, si era formato alla scuola di Stan Kenton negli anni ’50 ed aveva collaborato più tardi con nomi altisonanti del jazz come quelli di Dizzy Gillespie, Benny Goodman e Gerry Mulligan. Musicista specializzato a “tenere le bacchette” nelle grandi formazioni orchestrali nel 1965 decide di formare la propria big band, in un momento dove il genere del jazz orchestrale era in deciso declino. Si associa in questa avventura al cornettista e trombettista Thad Jones (1923-1986, uno dei tre fratelli Jones del jazz moderno, con il drummer Elvin e il pianista Hank), che si era distinto per la sua militanza di quasi dieci anni (fino al 1963) nell’orchestra di Count Basie.
L’orchestra si organizza inizialmente come band di jam session al Village Vanguard di New York, dove si propone come richiamo fisso ogni lunedi sera già nei primi mesi del 1966. In breve tempo diventa il punto di riferimento imprescindibile del moderno jazz per big band, con il suo stile che mescola sapientemente lo swing , il bop e l’hard bop, con i suoi arrangiamenti virtuosi - firmati spesso da Jones - che richiedono una grande perizia tecnica da parte degli esecutori. Dell’orchestra faranno parte tra gli altri Marvin Stamm, Snooky Young e un giovane Jon Faddis tra le trombe;
Bob Brookmeyer e Jimmy Knepper nelle sezione dei tromboni; Pepper Adams, Billy Harper, Eddie Daniels, Joe Farrell in quella delle ance. L’orchestra produrrà una notevole discografia e si esibirà spesso in tour anche in Europa. Il suo Live in Munich registrato nel 1976 e pubblicato l’anno successivo riceverà il Grammy Award.
Subito dopo, e con la sorpresa di tutti, Thad Jones lascerà New York per trasferirsi a Copenhagen. Malgrado ciò l’orchestra – da allora solo a nome di Mel Lewis – continuerà a proporsi in concerto e a registrare dischi fino alla morte del batterista sopraggiunta nel 1990. Grazie alla grande fama acquisita e in omaggio ai suoi fondatori, l’orchestra non si scioglierà ma anzi proseguirà un’intensa attività fino ai nostri giorni, riscuotendo ancora interesse e successi, come i due Grammy vinti nel 2004 (progetto Slide Hampton) e nel 2008.
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Ralph Towner, chitarrista
Ralph Towner (1940) è uno dei chitarristi contemporanei più noti nell'ambito del jazz e della musica improvvisata. Componente ad inizio carriera del Paul Winter Consort, è stato alla fine degli anni '60 pioniere dell'odierna world music. Con alcuni membri di quel gruppo ha dato poi vita ai leggendari (e tutt'ora attivi) Oregon, ensemble che mescola sapientemente musiche folk, musica indiana, improvvisazione jazzistica ed elementi di musica colta contemporanea di matrice europea. Towner ha parallelamente sviluppato una carriera di solista ben documentata dalle numerose registrazioni per ECM, anche in combinazione con musicisti quali Gary Burton, Colin Walcott, Jan Garbarek, Eberhard Weber, Kenny Wheeler e diversi altri. Riccardo Bertoncelli passerà in rassegna la brillante carriera di questo specialista assoluto della “sei corde”.
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I grandi festival: Newport 1959 e 1960
Birdland si occupa di tanto in tanto dei festival che hanno dato lustro alla musica afro-americana e quello di Newport è senza dubbio il modello cui fecero riferimento le rassegne nate in seguito. Nel 1954 una coppia dell’alta società della cittadina – Eliane e Louis Lorillard – ebbe l’idea di organizzare una serie di concerti, di incontri e tavole rotonde che avessero il jazz come tema di fondo. Contattato dai due coniugi, fu il produttore George Wein ad organizzare fattivamente l’evento che ebbe successo immediato, con ben più di 10.000 spettatori presenti nei due giorni previsti nel cartellone. Questa prima edizione si tenne nel Casino della città, alcuni concerti open air sul prato antistante. Da allora il nome di Newport è legato a doppio filo con il jazz, non solo dunque al turismo, alla sede della US Navy o alla Coppa America di vela per i quali la cittadina dello stato del Rhode Island è famosa. La maggior parte delle prime edizioni furono diffuse e registrate da Voice of America: la documentazione è dunque a tal proposito copiosa e di grande valore. Marcello Lorrai, dopo aver passato in rassegna in precedenti serie le edizioni fino al 1958, si concentra qui su quelle del 1959 e 1960. Dave Brubeck (che presenta nell’occasione dal vivo il materiale del suo noto album Time Out), Thelonious Monk, Nina Simone (il suo At Newport 1960 è un classico), Gerry Mulligan sono alcuni dei musicisti che si potranno ascoltare. Inoltre si accennerà al Newport Folk Festival che debutta proprio nel 1960 (con la presenza tra l’altro di Pete Segeer), alle contestazioni del pubblico per alcune performances ritenute irrispettose (in primis quella di Muddy Waters) e al contro-festival organizzato in un’altra sala della città da musicisti come Charles Mingus e Max Roach per sottolineare il carattere secondo loro troppo mainstream del programma ufficiale e la poca attenzione, d’altra parte, agli innovatori del linguaggio jazzistico.
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“Clifford Brown & Max Roach” (1954-55)
Clifford Brown è stato uno negli anni ’50 dei maggiori trombettisti dell’era dell’hard bop, una carriera la sua stroncata a soli 26 anni (nel 1956) quando il musicista aveva ormai raggiunto una prima maturità. Formò con il batterista Max Roach una formidabile coppia artistica e il loro gruppo ci ha lasciato alcune delle più vivide registrazioni di quell’epoca d’oro del jazz. Questo album intitolato semplicemente con i loro nomi è fra i pochi album ufficiali del quintetto usciti come tali all’epoca e vi sono raccolte alcune delle chicche del gruppo. Fra queste, accanto ad alcuni standards, numerose composizioni dello stesso Brown.
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Swiss Radio Days 01
Sin dagli anni ’90 l’etichetta discografica TCB di Montreux, in collaborazione con la SRG SSR, pubblica regolarmente registrazioni storiche di concerti jazz tenutisi in Svizzera a partire dal secondo dopoguerra. È un prezioso archivio sino a poco fa conosciuto a pochi addetti ai lavori e che sta diventando a poco a poco di dominio pubblico. Il primo volume della serie è dedicato ad un esibizione della big band di Quincy Jones registrata a Losanna nel 1960, presente in questa rassegna curata da Maurizio Franco. Tra le altre registrazioni qui presentate vi è la più antica sin ad ora pubblicata, con l’orchestra del trombettista, clarinettista e arrangiatore Don Redman in concerto a Ginevra nel 1946; inoltre i concerti degli anni ’50 di due eroi dello swing come Count Basie e Benny Goodman per finire con la Concert Jazz Band di Gerry Mulligan ripresa a Zurigo nel 1960.
01 Gerry Mulligan Concert Jazz Band feat. Zoot Sims - Zurigo 1960
02 Don Redman Orchestra - Ginevra 1946
03 Count Basie Mustermesse - Basilea 1956
04 ]Quincy Jones Orchestra - Losanna 1960
05 Benny Goodman - Losanna 1950
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Keith Jarrett “Bye Bye Blackbird” (1991)
Bye Bye Blackbird fu registrato nell’ottobre 1991 dal trio di Keith Jarrett in omaggio a Miles Davis, a pochi giorni dalla morte del grande trombettista. È una delle incisioni più pregnanti e significative di questa grande formazione del jazz contemporaneo che Jarrett aveva inaugurato circa dieci anni prima, con Gary Peacock al contrabbasso e Jack DeJohnette alla batteria. A differenza di molte registrazioni precedenti e successive del trio, quasi sempre live, questa fu realizzata in studio. Dall’apertura del disco affidata allo standard così amato da Miles, title track dell’album, si arriva al finale-coda improvvisato sullo stesso tema attraverso un percorso ben studiato che presenta standards e originals che fanno riferimento alla carriera del maestro: For Miles, You won’t forget me, I thought about you e altri.
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Jimmy & Tommy Dorsey
I fratelli Dorsey hanno marcato a loro modo l’era dello swing. Originari della Pennsylvania, erano nati nei primi anni del secolo in una famiglia di modeste origini. Fu il padre che impartì loro le prime lezioni di musica e insieme iniziarono la carriera nei primi anni ’20 fondando i Dorsey’s Novelty Six. Il gruppo, che nel 1928 cambiò il proprio nome in Dorsey Brothers Orchestra, ebbe un buon successo e alla fine del decennio sfornò uno dei suoi maggiori hit, il brano Let’s do it cantato da Bing Crosby. I due fratelli (un anno e mezzo la loro differenza di età) presero vie diverse con l’inizio degli anni’30. Tommy (1905-1956), il trombonista e direttore d’orchestra, fondò un nuovo gruppo che ebbe tra l’altro nelle sue fila il giovane Frank Sinatra. Tra le sue altre preziose collaborazioni ricordiamo quelle con Armstrong, Goodman, Paul Whiteman e Art Tatum. Jimmy, il più anziano dei due (1904-1957), era sassofonista e clarinettista. Fu lui a tenere viva l’orchestra fondata con il fratello, ribattezzandola nel 1935 a suo nome e dirigendola per tutti gli anni ’40 fino al 1953 quando i due, riconciliatisi dopo anni di incomprensioni, si ritrovarano nei Fabulous Dorseys. Grandi stars dell’establishment musicale statunitense e tra i maggiori rappresentanti del jazz classico “bianco”, i due fratelli furono anche apprezzati attori in numerose pellicole hollywoodiane.
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Swiss Radio Days 02
Sin dagli anni ’90 l’etichetta discografica TCB di Montreux, in collaborazione con la SRG SSR, pubblica regolarmente registrazioni storiche di concerti jazz tenutisi in Svizzera a partire dal secondo Dopoguerra. È un prezioso archivio sino a poco fa conosciuto dai soli addetti ai lavori e che a poco a poco sta ora diventando di dominio pubblico. Dopo una prima serie dedicata a dei concerti nel nostro paese di Quincy Jones, Count Basie e Gerry Mulligan, Maurizio Franco ci presenta stavolta un’esibizione del grande batterista Art Blakey a Losanna nel 1960, l’entusiasmante serata zurighese dell’8 aprile di quello stesso anno – dove sul palco del Kongresshaus sfilarono di seguito dei giganti quali Miles Davis, Stan Getz e Oscar Peterson – e il memorabile concerto del quintetto di un Cannonball Adderley al culmine della sua arte (con tra gli altri Joe Zawinul al piano) all’Auditorio RSI di Lugano nel 1963.
01 Oscar Peterson – Zurigo, 8 aprile 1960
02 Stan Getz – Zurigo, 8 aprile 1960
03 Miles Davis – Zurigo, 8 aprile 1960
04 Art Blakey – Losanna 1960
05 Cannoball Adderley Sextet – Lugano 1963
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L'universo sonoro di Sun Ra a 20 anni dalla scomparsa
Sun Ra – pianista, compositore, direttore d’orchestra statunitense, nato come Herman Poole Blount in Alabama nel 1914 e scomparso nel 1993 – è stato uno dei grandi visionari del jazz moderno. Personaggio bizzarro, musicista estroverso, durante gli studi al college che affianca a quelli musicali dice di aver avuto una strana avventura: sarebbe stato teletrasportato su Saturno, dove il suo corpo avrebbe cambiato forma. Non solo: gli extraterrestri lo avrebbero consigliato di lasciare il college in favore della musica. Detto, fatto. Dopo un periodo in carcere per obiezione di coscienza, nel 1945 è a Chicago dove si appassiona della vitalità musicale della città ma pure delle culture e delle religioni extraeuropee, di quelle dell’antico Egitto e del culto del Dio Sole in particolare. Cambia così il suo nome in Sun (sole) Ra (Dio, in antico egiziano) e conosce alcuni musicisti - tra cui i sassofonisti John Gilmore e Marshall Allen che lo accompagneranno per tutta la carriera con i quali darà vita al primo nucleo della Arkestra, sorta di “comune” musicale e di vita che acquisirà in seguito le più diverse e fantasiose denominazioni. E’ l’inizio di una straordinaria avventura artistica che condurrà la banda dapprima a New York, in seguito a Filadelfia e poi sulla West Coast in concomitanza con la diffusione della cultura hippy, prima di decollare per concerti nel mondo intero. A Maurizio Franco il non facile compito in questa serie di Birdland di dar conto della complessa vicenda umana ed artistica di un personaggio che a trent’anni dalla scomparsa fa ancora discutere gli appassionati di musica.
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Rex Stewart, trombettista
La figura di Rex Stewart è fra le più importanti per quanto riguarda il suo strumento, la cornetta, nel jazz classico. Nato nel 1907, lo ricordiamo innanzitutto come fido collaboratore di Duke Ellington sin dalla metà degli anni ’30 e fino al 1946: con il suo suono e il suo fraseggio contribuì non poco a forgiare il marchio di fabbrica della famosa orchestra. Tra le sue altre militanze citiamo quelle con Fletcher Henderson e più tardi con Benny Carter. Nella sua lunga carriera ha pure dato vita a proprie piccole formazioni, tra le quali la più famosa è senza dubbio il Rextette attiva tra la fine dei ’40 e l’inizio dei ’50. Nello stile di rex Stewart si riconosce inizialmente l’influenza della musica di New Orleans e di Louis Armstrong in particolare. Poi il suo suono si farà più personale e l’invenzione di nuove tecniche di emissione, che faranno scuola, contribuirà a farne uno dei precursori della moderna tromba jazz. Stewart è stato oltre che musicista anche attore (lo si apprezza in diversi film, tra i quali il noto Hellzapoppin’) e pure giornalista. Claudio Sessa ricorda in questa serie di Birdland le tappe fondamentali della carriera.
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Dixieland Jass Band
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Jazz rock & progressive inglese: Ian Carr & Nucleus
Formati nel 1969 dal trombettista Ian Carr, i Nucleus furono fra i primissimi gruppi della scena inglese ad abbracciare il nuovo credo del jazz-rock lanciato da Miles Davis. Sin dal loro primo disco Elastic rock (Vertigo 1970) la band - con una line-up che oltre al leader comprendeva Karl Jenkins (oboe, piano), Brian Smith (sax, flauto), Chris Spedding (chitarra, bouzouki), Jeff Clyne (basso) e John Marshall (batteria) – si segnalò per la perizia tecnica e per una vena musicale che li assimilava appunto al mondo sonoro del nuovo Miles Davis più che al sound dell’emergente scena di Canterbury, alla quale erano comunque legati. I Nucleus di Ian Carr – che diventò poi anche apprezzato saggista (sua la nota biografia di Davis) – restano una delle più belle espressioni della musica inglese a cavallo tra i ’60 e i ’70. Riccardo Bertoncelli ne traccia questo approfondito ritratto.
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In ricordo di Butch Morris, compositore e direttore (1947-2013)
Butch Morris, nato in California nel 1947 e scomparso alla fine dello scorso mese di gennaio, è stato un influente musicista del jazz contemporaneo. Era cornettista, compositore e direttore d’orchestra statunitense. E’ noto per aver sviluppato un suo metodo di direzione d’ensemble da lui chiamato semplicemente conduction che ha portato alle estreme conseguenze il rapporto, da sempre centrale nel jazz, tra idea compositiva ed immediatezza dell’esecuzione: nessuna partitura o parte scritta in maniera tradizionale, eventualmente solo qualche appunto o schizzo grafico ( nelle performances chiamate induction), altrimenti unicamente la sua complessa gestualità di fronte all’orchestra a suggerire attacchi, tempi, ritmi, articolazioni, dinamiche, forme sonore dell’improvvisazione collettiva. E’ in California, rientrato dal servizio militare, che Morris entra in contatto con la fertile scena di Los Angeles e Oakland, lavorando con gente come Horace Tapscott, Diamanda Galas, James Newton, poi con ancora Ray Anderson e Ornette Coleman. Il trasferimento prima a New York, poi in Europa gli permette di farsi conoscere ad un pubblico più vasto: si esibisce negli ensembles di David Murray e di Frank Lowe, viene invitato ad insegnare in Olanda e in Francia. Con la metà degli ani ’80 rientra a New York per dare il via alle sue conductions: a fine carriera se ne conteranno quasi 200 diverse, alcune delle quali raccolte su disco, altre invece irrimediabilmente perdute perché non incise. Tra gli gruppi di musica contemporanea con cui ha lavorato ricordiamo, a parte i tanti montati ad hoc, il New World Ensemble della Florida State University, il Maarten van Altena Group, il Süleyman Erguner Ensemble di Istanbul (dove ha insegnato per diversi anni) o ancora il collettivo Burnt Sugar e la NuBlu Orchestra. Innumerevoli i festival internazionali dove è stato invitato: Berlino, Londra, Barcellona, la Documenta di Kassel (1992), Angelica a Bologna (1993), Biennale di Venezia, Festival di Verona. Claudio Sessa ricorda in questa singola puntata di Birdland i tratti essenziali dell’arte di Butch Morris.
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Lee Morgan ''The sidewinder'' (1963)
Lee Morgan è stato negli anni ’50 uno dei più influenti trombettisti dell’hard bop, guida stilistica di colleghi quali Freddie Hubbard o Woody Shaw. Carriera vissuta febbrilmente la sua e terminata presto: morì a 34 anni ucciso con un’arma da fuoco dalla moglie.
The Sidewinder, album registrato alle fine del 1963 e pubblicato l’anno successivo, è da considerare uno dei manifesti del cosiddetto soul jazz, nato come incontro tra l’hard bop canonico e ritmi più decisamente funky. Ebbe un successo clamoroso ed entrò facilmente nelle top 100 delle classifiche del pop: basti pensare che i produttori ne stamparono inizialmente solo qualche migliaio di copia andate vendute in pochi giorni.
Del gruppo cha affianca Morgan in questa splendida performance fanno parte Joe Henderson al tenore, Barry Harris al piano, Bob Cranshaw al basso e un magistrale Billy Higgins dietro i tamburi e piatti.
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Incursioni rock-blues: Stevie Ray Vaughan, chitarrista
Ogni tanto il nostro spazio radiofonico di storie jazz si tinge di blu. Stavolta siamo al cospetto di uno dei chitarristi che hanno fatto la storia del blues (e del rock-blues) moderno, il texano Stevie Ray Vaughan. Nella sua breve carriera, che si concentra negli anni’80, Vaughan ha lasciato il segno. Il suono della sua chitarra – debitore dell’esperienza hendrixiana – resta inconfondibile: è ruvido, crudo, grezzo, sensuale, trascinante, elettrico, animale, un suono inconfondibile con cui ogni chitarrista blues, volente o nolente, sarà costretto a confrontarsi da allora in poi. Voce rauca, tocco sulla chitarra unico, Stevie Ray Vaughan ha abbinato la vitalità selvaggia della sua musica ad una vicenda personale dominata da sregolatezza e disordine, con gravi problemi dovuti all’abuso di droghe ed alcool. Riccardo Bertoncelli ripercorre la biografia e la storia discografica di questo musicista nato a Dallas nel 1954 e scomparso nel 1990 in un incidente d’elicottero, quando aveva soli 36 anni ed era ancora nel pieno dell’attività.
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Pharoah Sanders ''Tauhid'' (1966)
A parte il debutto discografico da leader (“Pharoah First”) tutti i più importanti album tra la fine dei ’60 e i primi anni ’70 del sassofonista Pharoah Sanders sono pubblicati dalla prestigiosa Impulse. Et pour cause! Grazie al traino del maestro John Coltrane, accasato appunto presso Impulse e con il quale il giovane musicista texano aveva iniziato a lavorare nel 1965, Sanders ha la fortuna di vedere pubblicata tutta la sua discografia più pregnante dalla leggendaria label nero-arancio. Tauhid è del 1966, il suo mentore Coltrane è ancora in vita. Sulla scia dei concetti cari al grande maestro nel suo ultimo periodo creativo, in Tauhid iniziano a disegnarsi i contorni di quella che sarà la cifra stilistica di Sanders: riferimenti alla musica e alle culture extra-occidentali, quelle africane ed asiatiche in particolare, un’ideale di musica cosmica dai grandi slanci e al tempo stesso dagli ampi spazi sonori, l’uso di una strumentazione originale, spesso esotica. Nei due brani con riferimento all’Egitto Lower and Upper Egypt ascoltiamo piuttosto il Pharoah Sanders più disteso e lirico, quello che diventerà noto a tutti con il brano The Creator has a master plan. Nel trittico di brani finale il sassofonista dà invece spazio alle sonorità più selvagge e libere della new thing.
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Larry Coryell ''Spaces'' (1970)
Da qualche tempo si sono perse un po’ le tracce di questo chitarrista che è stato all’avanguardia tra la fine dei ’60 e il decennio successivo. Larry Coryell, originario del Texas, è da considerare fra i primattori del jazz rock. Collaboratore di Chico Hamilton , poi di Gary Burton alla metà degli anni ’60, forma i propri tra cui Free Spirits e Eleventh House. Spaces, di cui riferisce in questa sede Riccardo Bertoncelli, è il suo terzo disco da solista. Pubblicato nel 1970 presenta un cast stellare, sorta di all stars di quella che era appunto il jazz rock nascente: John McLaughlin alla seconda chitarra, Chick Corea alle tastiere, Miroslav Vitous al contrabbasso e Billy Cobham alla batteria.
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Freddie Hubbard 'Red Clay' (1970)
Uno dei più bei dischi prodotti da Freddie Hubbard (1938-2008). Cresciuto accanto a Wes Montgomery, poi collaboratore di Sonny Rollins, nei primi anni ’60 Hubbard entra in contatto con John Coltrane e subito dopo con Ornette Coleman, con il quale registra il leggendario album Free jazz. Tra i numerosi dischi come leader da lui pubblicati Red Clay (1970) è tra i più acclamati dalla critica e decreta anche uno dei suoi maggiori successi commerciali. All’hard-bop tipico del suo stile si mescola qui l’influenza del soul e del funk. Ad accompagnare Hubbard una lineup stellare con Herbie Hancock al piano, Joe Henderson al tenore, Ron Carter al basso e Lenny White alla batteria.
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Swinging Helvetia, il jazz svizzero al femminile
Dal radicalismo degli anni ‘60 alle giovani leve dei giorni nostri, il jazz elvetico al femminile non ha più smesso di crescere e di stupirci. Lo abbiamo notato anche grazie al tiro incrociato dei concerti di Swiss Diagonales Jazz, festival biennale nato con l’intento di sostenere e mettere in contatto fra loro musicisti e musiciste al di là di barriere geografiche, linguistiche e di genere. Barriere che sembrano lentamente cadere ma, come recentemente illustrato da un Podium di Helvetiarockt, la presenza femminile ai concerti e festival di jazz, ma anche pop e rock, resta limitata fra il 5 e il 10 percento.
L’idea di una “Swinging Helvetia” è quindi pretesto e occasione per ricordare l’attività artistica di grandi dame, come la pianista di Sciaffusa Irene Schweizer, vera icona del jazz elvetico tout court, o la straordinaria sassofonista zurighese Co Streiff. Si va avanti poi segnalando la pianista e compositrice basilese Vera Kappeler, l’energia contagiosa della batterista ginevrina Béatrice Graf e per incontrare anche Sylvie Courvoisier, trasferitasi da Losanna a New York, ormai nota figura della scena avanguardistica downtown. Non può mancare alla lista la vocalist-performer Erika Stucky, il suo canto riassume e trascende lo shock culturale subito da piccola passando da San Francisco alle Alpi vallesane. Mentre la trombettista turgoviese-ticinese Hilaria Kramer con la pianista Florence Melnotte arricchiranno il quadro con le loro varie collaborazioni e creazione di organici al femminile, come Ratrabra e Four Roses. Chiuderemo il quadro con le sonorità ECM della svizzero-albanese Elina Duni e con un accenno alle nuove visioni e al coraggio delle giovani strumentiste della scena attuale, “tra jazz e nuove musiche”.

01 Irene Schweizer e Co Streiff 04-03-2013
02 Vera Kappeler e Béatrice Graf 05-03-2013
03 Sylvie Courvoisier e Erika Stucky 06-03-2013
04 Hilaria Kramer e le Four Roses con Florence Melnotte 07-03-2013
05 Elina Duni, Martina Berther e Noèmie Cotton 08-03-2013
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John McLaughlin
John McLaughlin è certamente tra i grandi chitarristi del jazz e della fusion venuti alla ribalta con la fine degli anni ’60. Nato nel 1942 a Doncaster (Yorkshire), si fa conoscere sulla fervida scena rock-blues londinese degli anni Sessanta suonando con Alexis Korner, Graham Bond, Brian Auger. Il suo interesse si indirizza poi verso il jazz e le musiche improvvisate, concretizzandosi con un album - il leggendario Extrapolation, realizzato nel 1969 insieme al sassofonista John Surman - che lo proietta immediatamente tra i protagonisti della nuova scena jazz. Attraverso il batterista Tony Williams, che lo vuole nel suo gruppo Lifetime, approda alla corte di Miles Davis con il quale collabora per album storici quali In a silent way, Bitches Brew, Jack Johnson. Un nuovo genere è nato, sia chiamerà jazz-rock, fusion o jazz elettrico. Poco importa la denominazione, John McLaughlin è fra i protagonisti di questa rivoluzione che si completerà con la fondazione della Mahavishnu Orchestra, il suo gruppo più celebre. Divenuto seguace del guru Sri Chinmoy – Mahavishnu è il suo nome mistico - la svolta lo vede registrare un onirico tributo a John Coltrane Love, Devotion & Surrender assieme a “Devadip” Carlos Santana. L’attenzione alla spiritualità, ma anche alla musica indiana, è confermata dal successivo connubio con il gruppo Shakti. Gli anni Ottanta vedono McLaughlin conseguire un grande successo commerciale con l’album Friday Night in San Francisco realizzato in trio con Paco de Lucia e Al Di Meola, una partnership che verrà riproposta più volte. Ritorna a collaborare con Miles Davis in sala d’incisione (per i dischi You’re under arrest e Aura) mentre negli anni Novanta, insieme al batterista Elvin Jones, omaggerà dapprima Bill Evans con l’album Time Remembered e in seguito John Coltrane con After the Rain. è Il suo ultimo progetto in ordine di tempo è The 4th Dimension, un quartetto ben assortito che ha debuttato con il disco To the One (2010) e che si è confermato con Now Here This.
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Joe Zawinul oltre i Weather Report
Joe Zawinul (1932-2007) è stato uno dei protagonisti della scena musicale sin dalla fine degli anni ’60, quando contribuì in maniera determinante allo sviluppo del cosiddetto jazz-rock, dapprima grazie alle collaborazioni epocali con Miles Davis poi con la fondazione dei Weather Report, il gruppo-faro del genere negli anni ’70 e nei primi ’80. In questa serie di Birdland però Claudio Sessa si concentrerà sull’attività del pianista, tastierista e compositore austriaco non direttamente collegata al “Bollettino Meteorologico” che lo vide già in primo piano negli Stati Uniti sin dal suo espatrio nel 1959.
Dalla natia Vienna, dove era nato in una modesta famiglia con origini zingare e boeme, dove aveva studiato presso il Conservatorio e dove aveva iniziato a coltivare la passione per il jazz, Zawinul si trasferisce a Boston grazie ad una borsa di studio. È qui che entra subito in contatto con gli ambienti che contano, che si crea una solida fama di pianista accompagnatore e che si fa notare pure come autore. Si metterà in gran luce con Ben Webster, Maynard Ferguson, Dinah Washigton e poi nel quintetto di Cannonball Adderley, per il quale comporrà anche alcuni brani forti del repertorio (su tutti Mercy Mercy Mercy). In questo periodo avrà pure l’occasione di produrre i primi dischi a suo nome.
Detto del proficuo lavoro con Davis (l’album In a silent way, di cui è protagonista, è stato letto dalla critica come fondamentale anticipazione della svolta jazz-rock del trombettista), resta da ricordare pure la produzione di Zawinul come solista a partire dal 1985, quando sciolse i Weather Report e diede vita al nuovo gruppo Zawinul Syndicate.
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Il jazz in Italia dagli anni '20 ai '60
È un percorso molto articolato quello che suggerisce Maurizio Franco, in questa serie di Birdland, attraverso lo sviluppo del jazz in Italia. Sin dai primi anni del ‘900 vennero presentati nel Belpaese spettacoli di danza e musica collegati alla cultura afro-americana ma è con il finire della Grande Guerra che nel 1919 si poterono ascoltare i primi concerti della nuova “musica sincopata” con le leggendarie esibizioni di Jim Reese Europe.
La pratica del jazz in Italia ha inizio in quegli stessi anni grazie a pionieri quali Vittorio Spina, Arturo Agazzi e la Mirador Orchestra, Gaetano Nervetti, Carlo Benzi e la sua Ambassador’s Jazz Band. Malgrado un forte antiamericanismo la nuova musica continuò a diffondersi durante il Ventennio fino a metà anni ’30, prima dell’introduzione delle leggi razziali. Ciò permise che ancora nel 1935 Louis Armstrong (ribattezzato per l’occasione Luigi Braccioforte) potesse esibirsi a Torino.
Negli anni ’40, benché ufficialmente messo al bando, il jazz continuò a svilupparsi grazie a personaggi quali Natalino Otto e Gorni Kramer, a gruppi vocali come il Trio Lescano e il Quartetto Cetra, per affermarsi in modo definitivo una volta concluso il conflitto - inizialmente sull’asse Torino-Milano - grazie ai musicisti che contribuiranno a portarlo a maturità: Enzo Ceragioli, Nunzio Rotondo, Armando Trovajoli, Nicola Arigliano e poi ancora Franco Cerri, Oscar Valdambrini, Gianni Basso, Renato Sellani fino a Giorgio Gaslini.
sono sette puntate
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Albert Mangelsdorff, trombonista
Albert Mangelsdorff è da considerare uno dei musicisti europei di jazz più influenti in assoluto. Maestro del trombone, ha rivoluzionato l’uso e le tecniche dello strumento introducendo, tra l’altro, la tecnica della multifonia (l’emissione simultanea di più suoni).
Debutti nel jazz tradizionale negli anni’50, dopo l’amore sin da ragazzo - indotto dal fratello - per la musica “proibita” negli anni bui del nazismo. Collaborazioni tra gli altri con Hans Koller e i Frankfurt All Stars, poi inizia a suonare con musicisti americani e la sua notorietà valica i confini nazionali.
Mangelsdorff, nativo di Francoforte (1928-2005), è stato uno straordinario solista, un eccellente compositore e un singolare band leader, sempre alla ricerca di nuove soluzioni musicali. Oltre a dirigere le sue numerosissime formazioni (in primis lo United Jazz & Rock Ensemble), ha lavorato con musicisti ed ensembles i più diversi come la Globe Unity Orchestra, Jaco Pastorius, John Surman, Elvin Jones per non citarne che alcuni.
Maurizio Franco in questa serie di Birdland ripercorre alcune delle tappe essenziali del suo percorso artistico.
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Bill Evans “solo”
Quando Bill Evans sbarca a New York nel 1954 è praticamente uno sconosciuto negli ambienti del jazz. Una formazione in pianoforte e flauto, teoria musicale, composizione all’Università di Lousiana, dal 1950 un inizio di carriera accanto ad uno scopritore di talenti come il sassofonista Herbie Fields (che aveva già presentato nelle sue band un certo Miles Davis) e poi un periodo di tre anni di servizio militare a Chicago, nella Fifth Army.
Ma nella Grande Mela non tarda a farsi notare, prima con Tony Scott ed in seguito nel giro dell’arrangiatore e compositore George Russell, cui non sfugge la straordinaria padronanza del pianoforte del suo pupillo, nonché le innovative soluzioni armoniche, melodiche e ritmiche che Evans ha già sviluppato.
Del grande pianista americano che è universalmente riconosciuto come uno dei pilastri della moderna evoluzione del jazz, Riccardo Bertoncelli passerà in rassegna la produzione di piano solo. Una decina scarsa di album, dalle Sessions dei due volumi del 1963 all’album Alone vincitore del Grammy nel 1968, dalle Conversations with myself alle New Conversations (1963 e 1967) – album per i quali Evans usò una complessa tecnica di sovra incisione: una storia nella storia di un grande artista che ha segnato la storia della musica afro-americana.
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“Where is Brooklyn” (1966) e “The way ahead” (1968)
Riccardo Bertoncelli si china in queste due puntate di Birdland su altrettanti dischi storici della cosiddetta new thing, pubblicati nella seconda metà degli anni ’60.
Don Cherry, trombettista e cornettista che era venuto alla ribalta alla corte di Ornette Coleman, aveva già pubblicato come leader nel 1965 lo stupendo Complete Communion. L’anno successivo completa un trittico per la Blue Note (nel mezzo c’è l’altrettanto bello Symphony for Improvisers) dando alle stampe Where is Brooklyn, un album di grande energia che lo vede circondato da Pharoah Sanders al sax, Henry Grimes al contrabbasso e Ed Blackwell alla batteria.
Nella sterminata discografia di Archie Shepp, altro alfiere imprescindibile del nuovo jazz degli anni ’60, messa a fuoco invece su The way ahead – anno di grazia 1968, uno dei molti dischi del sassofonista pubblicati in quegli anni da Impulse!. In quest’album – registrato con Jimmy Owens alla tromba, Grachan Moncur III al trombone, Walter Davis Jr. al piano, Ron Carter al contrabbasso e Roy Haynes alla batteria - spicca una particolare versione di Sophisticated Lady, un brano che diventerà cavallo di battaglia nelle performance dal vivo del musicista.

Don Cherry “Where is Brooklyn” (1966)
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Archie Shepp “The way ahead” (1968)
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Ai primordi del jazz: James Reese Europe
Nei suoi viaggi alle radici del jazz, questa settimana Marcello Lorrai ci parlerà di James Reese Europe.
Pianista, violinista, compositore e direttore d'orchestra (Mobile, Alabama 1881-Boston 1919), Reese Europe compì studi musicali a Washington. Trasferitosi a New York nel 1904 allestisce lo spettacolo dei “Memphis Students”, un vertiginoso condensato di musica e danza nera che fu il primo concerto pubblico della cosiddetta musica sincopata. Nella Grande Mela dà il via alla New Amsterdam Musical Association, fonda il Clef Club e successivamente la Society Orchestra, un folto complesso con sassofoni e banjo che incise alcuni dischi di musica pre-jazz. Nel 1912 è promotore di un concerto di musica nera alla Carnegie Hall con la monumentale Clef Club Orchestra, il primo ensemble musicale tutto afro-americano e con più di 100 musicisti.
Grande successo lo ottiene poi con la coppia di ballerini Irene e Vernon Castle, popolarissimi all’epoca, nel musical Watch You Step di Irving Berlin. Insieme a loro lanciò anche nuove danze, tra cui il fox-trot.
Arruolato nel 1917, durante la Prima Guerra Mondiale James Reese Europe è tenente dell'esercito degli Stati Uniti e dirige la banda del 369° Fanteria che si esibisce in molte città d'Europa. Tornato in patria come un eroe, inizia un trionfale tour che si interrompe brutalmente il 19 maggio del 1919: durante un concerto a Boston viene ucciso per motivi sconosciuti dal suo batterista.
James Reese Europe è da considerare a tutti gli effetti una geniale figura di transizione tra la musica nera del XIX secolo e il jazz.
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Burt Bacharach in jazz
Il compositore, pianista e arrangiatore statunitense di origine ebraica Burt Bacharach (Kansas City, 1928) ha scritto importanti pagine della musica pop sin dagli anni ’50, ma non dobbiamo dimenticare che nella sua formazione spiccano sia un forte interesse per il jazz, coltivato in giovane età (spesso si recava nei locali della 52.a strada a New York per ascoltare il be-bop nascente), sia gli studi di composizione con personalità riconosciute come quelle di Darius Milhaud, Bohuslav Martinu e Stanley Cowell.
Nel 1958 firma Magic Moments, il primo singolo ad entrare nelle classifiche di vendita portato al successo da Perry Como: a partire da quel momento il suo nome sarà ricorrente, assieme a quello del fido paroliere Hal David, in cima alle Top 20. A star come i Beatles, Aretha Franklin, Tom Jones, Dionne Warwick e molte altre affiderà le sue composizioni, facendone uno degli autori più amati degli anni ’60 e ‘70.
La particolare vena melodico-armonica, le originali soluzioni compositive che ha Bacharach ha sempre espresso hanno favorito l’approccio ai suoi temi di successo da parte dei musicisti jazz. In tal senso Riccardo Bertoncelli ci propone in Birdland un percorso attraverso gli hits di Bacharach suonati da musicisti quali Ella Fitzgerald, Wes Montgomery, Stan Getz e diversi altri, fino a John Zorn.
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Eric Dolphy, il marziano del jazz
l nostro collaboratore Claudio Sessa è uno degli studiosi più accreditati della musica e dell’arte di Eric Dolphy. Introduciamo questa sua serie di Birdland con le note di copertina del volume che gli ha dedicato (Eric Dolphy, il marziano del jazz - Luciano Vanni Editore, 2006).
“ La sera del 27 giugno 1964 moriva a Berlino, a causa di una diabete non diagnosticato, il musicista afro-americano Eric Dolphy. Aveva appena compiuto trentasei anni.
In pochissimo tempo il aveva partecipato ad incisioni discografiche memorabili e a formazioni decisive per la storia del jazz, insieme a maestri quali John Coltrane, Charles Mingus, Ornette Coleman.
Il suo testamento artistico “Out to lunch” figura in ogni discografia indispensabile. La sua lezione di solista, compositore e polistrumentista ha influenzato profondamente i musicisti a lui contemporanei e successivi. Claudio Sessa racconta la vita e la musica di un genio assoluto, una presenza talmente forte e originale da apparire “aliena” in ogni contesto. L’enigma di un musicista che ha utilizzato e trasformato in oggetto musicale tutto ciò di cui si impossessava: il jazz moderno e quello tradizionale, la musica accademica contemporanea e quella classica, la musica indiana e quella dei pigmei africani, il canto degli uccelli e il suono delle onde”.
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Paul Whiteman, direttore d’orchestra
“Re del jazz” fu definito Paul Whiteman, nel suo momento di massima popolarità: un appellativo che fu contestato da più parti anche se l’interessato lo accettò di buon grado.
I detrattori, soprattutto negli ambienti della critica, sostenevano che la sua musica non era da considerare vero jazz e che Whiteman fosse uno dei tanti bianchi che tentavano di metter le mani su di un patrimonio non loro. Ma tra i colleghi musicisti ebbe sempre testimonianze di stima vera, come ad esempio quella di Duke Ellington che asseriva che “nessuno come lui avrebbe potuto portate l’oneroso titolo con maggior dignità”. Insomma, già allora la diatriba sulla vera natura del jazz, con i suoi risvolti razziali, era già d’attualità e avrebbe diviso la critica anche in seguito.
Paul Whiteman - originario del Colorado, un omone tutto d’un pezzo con vaga somiglianza con Oliver Hardy – è passato alla storia della musica per aver contribuito a lanciare George Gershwin (fu lui a commissionargli la Rhapsody in Blue); per essere stato il primo a sperimentare la combinazione fra jazz e musica sinfonica (la celebre Grand Canyon Suite di Ferde Grofé era stabilmente nel suo repertorio) in uno slancio pionieristico che sarà ripreso più tardi da Stan Kenton, Miles Davis, Gil Evans e quelli della third stream; per avere diretto dall’inizio degli anni 20 una delle più sensazionali orchestra da ballo, con organico rivoluzionario, che raccoglierà una serie impressionante di n.1 nelle classifiche di vendita fino al 1934 (l’ultimo fu Smoke gets in your eyes).
Marcello Lorrai in questa serie di Birdland ci restituisce un ritratto a tutto tondo di Paul Whiteman, originale ma controverso musicista.
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Stan Getz, tappe di una carriera
Stan Getz (1927-1991) è stato senza dubbio uno dei più influenti tenorsassofonisti bianchi del jazz moderno. Nato a Filadelfia, ha legato inizialmente il suo nome a quello di grandi del jazz come Jack Teagarden (con cui lavorò già appena sedicenne) Stan Kenton, Jimmy Dorsey, Benny Goodman e Woody Herman, prima di spiccare il volo come solista.
Dopo una parentesi di alcuni anni - dal 1958 - in Europa, dove si rifugiò per sfuggire ai suoi problemi di droga, fece ritorno negli Stati Uniti dove contribuì in maniera determinante all’incontro tra la nascente bossa nova brasiliana e gli stilemi della musica afro-americana, lanciando il cosiddetto jazz samba. Con quest’ultimo appellativo Getz darà alle stampe nell’aprile del 1962 un album – contenente tra l’altro il celebre single Desafinado - che è noto per essere uno dei dischi più venduti di tutta la storia del jazz.
Maurizio Franco in questo ciclo di Birdland passa in rassegna alcune delle tappe più originali della carriera di questo grande interprete del jazz.
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Leo Wadada Smith “Ten Freedom Summers”
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Keith Jarrett Trio, standards a confronto
Il primo disco dello Standards Trio di Keith Jarrett – che riunisce Gary Peacock al contrabbasso e Jack DeJohnette alla batteria - esce nel 1983. Nel corso del 2013 è stato pubblicato l’ultimo della serie, dal titolo Somewhere, registrato live al KKL di Lucerna nel luglio 2009. In questi trent’anni di storia discografica del trio, una delle formazioni più longeve e influenti del jazz contemporaneo, non di raro troviamo alcuni brani che sono stati documentati più volte, su dischi diversi e in versioni diverse. Claudio Sessa si è chinato su questo repertorio “ricorrente” del gruppo, cercando di sottolineare punti comuni o a volte interpretazioni divergenti dei brani considerati, che sono tre standards dal grande repertorio del Musical (The song is you, When I fall in love e Just in Time), un famoso hit di Ellington (Things ain’t what they use to be) e uno dei pezzi di Miles Davis più amati dai jazzisti (Solar).

01 The song is you (Jerome Kern) 11-11-2013
02 When I fall in love (Victor Young) 12-11-2013
03 Things ain’t what they use to be (Ellington) 13-11-2013
04 Just in time (Green-Comden-Styne) 14-11-2013
05 Solar (Miles Davis) 15-11-2013
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Il jazz e la crisi del '29
Come vanno a due passi da Wall Street le "quotazioni" del jazz e di alcuni grandi protagonisti del musica afro-americana che nel '29 sono a Manhattan, nell'anno in cui la borsa crolla (con degli effetti più o meno tangibili sulle loro carriere)? Paul Whiteman è al massimo e fa il film "Il re del jazz", Armstrong arriva a New York e trionfa, Ellington è al Cotton Club ed è in ascesa, Fletcher Henderson è depresso-stazionario, King Oliver manifesta i primi segni di crisi, Bessie Smith è prossima al tracollo. Col pretesto di un anno spartiacque, Marcello Lorrai racconta la scena del jazz a New York al momento della grande crisi del 1929.
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Charlie Haden e la Liberation Music orchestra
Contrabbassista di primo piano del jazz moderno Charlie Haden è nato nello Iowa nel 1937. Venne alla ribalta nel quartetto di Ornette Coleman di fine anni ’50, dopo avere debuttato sulla scena californiana accanto ad Art Pepper. Il lungo sodalizio con Coleman lo vide pure protagonista dello storico album Free Jazz che gettò le basi del nuova cosiddetta New Thing. Haden fece parte di una delle prime edizioni del trio di Keith Jarrett, poi negli anni ’70 del “quartetto americano” del pianista accanto ad un altro colemaniano come il sassofonista Dewey Redman e il batterista Paul Motian.
Oltre ad avere dato vita a sue proprie formazione, tra cui il noto Quartet West, il nome di Haden è pure associato – insieme a quello di Carla Bley, che vi aveva il ruolo di arrangiatrice – all’attività della Liberation Music Orchestra, un grande ensemble fondato nel 1969 e che Haden ha presentato ad intervalli regolari sulle scene fin nei primi anni del nuovo secolo. Per la prima volta con questo ensemble Haden ha abbinato gli elementi del jazz radicale alle proprie convinzioni politiche, decisamente di sinistra e antimperialiste. La LMO debuttò con un album che aveva come sfondo la Guerra Civile spagnola; il successivo Ballad of the Fallen del 1983 faceva riferimento alla politica statunitense dell’epoca in Centroamerica; in Dream Keeper del 1990 era evidente il riferimento alle politiche in Sudamerica e alla positiva evoluzione della situazione in Sudafrica; nel titolo Not in our name dell’ultimo disco ad oggi pubblicato dall’ensemble (2005) è evidente la distanza di Haden dalle scelte del suo paese in piena era Bush jr.
Della Liberation Music Orchestra hanno fatto parte negli anni alcuni dei musicisti più in vista del jazz moderno quali Gato Barbieri, Don Cherry, Roswell Rudd, Jim Pepper oltre ai già citati Bley, Redman e Motian.
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I grandi del jazz e il loro repertorio
Molti musicisti di primo piano della storia del jazz hanno associato il proprio nome all’interpretazione di brani famosi e non, spesso divenuti ricorrenti nel proprio repertorio.
Maurizio Franco prende in considerazione in questa serie di Birdland alcune composizioni che hanno costituito dei veri e propri “cavalli di battaglia” di Bill Evans, Miles Davis, Thelonious Monk, Lee Konitz e Duke Ellington.
Nelle cinque puntate del ciclo si ascolteranno alcune versioni incise in situazioni e tempi diversi rispettivamente di My romance, Round Midnight, Blue Monk, Kary’s Trance e Caravan con la sottolineatura delle loro specificità e varianti di forma, tempo, interplay ed altro ancora.

. My romance (Bill Evans)
. Round Midnight (Miles Davis)
. Blue Monk (Thelonius Monk)
. Kary’s Trance (Lee Konitz)
. Caravan (Duke Ellington)

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Otis Redding, vocalist
Straordinario interprete del rhythm & blues e del soul degli anni ’60, Otis Redding - nella pur breve carriera - ha marcato indelebilmente la storia della musica nero-americana.
Nato nel 1941, cresciuto in Georgia, si diede da fare in ambito musicale sin dall’adolescenza cantando in svariati gruppi e facendo parte del gruppo stabile di supporto agli show di Little Richard. Il suo avvento sulle scene come solista fu fulminante: dopo una seduta di registrazione alla Stax nel 1961 ottiene un contratto che lo porterà a pubblicare in pochi anni (dal 1964 al 1967) tutti i suoi maggiori successi (tra cui I’ve been loving you so long, Respect, Try a little tendress …) e i 6 album ufficiali. Il 10 dicembre del 1967 la sua vita fu stroncata in un indicente aereo nel Wisconsin, dove stava trasferendosi per un ennesimo concerto.
L’eredità lasciata da Otis Redding è enorme. Vero animale da palcoscenico, ha incarnato un nuovo modo di intendere la vocalità dove, agli elementi tipici della musica nero-americana, aggiunse un passione, un fuoco sacro mai visti né sentiti prima, grazie anche ad un uso inconsueto, per il genere che rappresentava, dell’improvvisazione.
Riccardo Bertoncelli disegna in Birdland il ritratto di un artista vero, che ha lasciato il segno – al di là delle etichette – nella musica del secondo Novecento.
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Ray Charles & Milt Jackson - “Soul Brothers” (1958)
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Sugarcane Harris, violinista
Personaggio strano e originale Don “Sugarcane” Harris, violinista statunitense nato in California nel 1938 e scomparso nel 1999. Era venuto alla ribalta come chitarrista nella seconda metà degli anni ‘50 in gruppi di rock’n’roll, poi si dedicò al violino – studio classici alle spalle – al momento del successo del duo “Don & Dewey”che guidava insieme all’amico d’infanzia Dewey Terry.
Il suono del suo violino attirò in seguito l’attenzione di musicisti di primo piano degli ambienti rock. Lavorò fra gli altri con Frank Zappa (prima apparizione di una lunga serie nel mitico LP Hot Rats del 1969), Johnny Otis, John Lee Hooker, per poi diventare membro fisso della band americana del grande bluesman inglese John Mayall. Con la notorietà arrivarono anche i dischi come solista che ebbero un discreto successo.
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Ray Charles & Milt Jackson ''Soul Brothers" (1958)
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Edited by papero62 - 1/4/2014, 14:24
 
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